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martedì 29 agosto 2023

Ti Voglio Bene

Ti volti,
oltre la vetrina 
inventi qualcos’ altro
mentre il mondo si veste
ed io torno a me.



Distanza e il Ritorno a Sé

"Ti voglio bene" è una delle frasi più calde e intime della nostra lingua. La associamo alla vicinanza, all'affetto, a un legame che unisce. Ma cosa succede quando questo sentimento profondo viene esplorato non in un abbraccio, ma in un momento di silenziosa distanza? La mia poesia "ti voglio bene" nasce proprio da questa domanda, dal tentativo di catturare una forma d'amore più sottile e forse più complessa.

In soli cinque versi, si dipana una scena che è al tempo stesso un gesto quotidiano e un profondo evento emotivo. Analizziamola passo dopo passo.

Il Gesto della Separazione: "Ti volti, oltre la vetrina"

Il primo verso è un'azione semplice e definitiva: "Ti volti". È la rottura di uno sguardo condiviso, l'inizio di una divergenza. La seconda riga, "oltre la vetrina", aggiunge una complessità straordinaria. La "vetrina" è un simbolo potente. È una barriera trasparente: separa un "dentro" da un "fuori", uno spazio privato da uno pubblico. È anche una superficie che riflette.

La persona a cui ci si rivolge non si limita a guardare la vetrina (il superficiale, il riflesso), ma guarda "oltre". Sta cercando, o forse già vedendo, qualcosa che si trova al di là del presente condiviso con il poeta. Questo gesto segna l'inizio di un allontanamento non solo fisico, ma anche mentale ed esistenziale.

La Creazione di un Altrove: "Inventi qualcos'altro"

Questo è forse il verso più potente della poesia. L'altra persona non sta semplicemente "facendo" o "guardando" qualcos'altro. Sta "inventando". Il verbo "inventare" implica un atto creativo, una scelta consapevole, la costruzione di una nuova narrazione, di una nuova realtà.

Non c'è giudizio in questa osservazione. C'è la presa di coscienza che l'altro sta attivamente costruendo un percorso, un mondo, che non include più, o non più allo stesso modo, il poeta. È il riconoscimento dell'individualità e della libertà altrui, anche quando questa libertà crea una distanza emotiva.

Il Contesto e la Risoluzione: "Mentre il mondo si veste ed io torno a me"

Gli ultimi due versi forniscono la cornice e la conclusione emotiva. "Mentre il mondo si veste" è un'immagine meravigliosa. Suggerisce il mattino, l'inizio della giornata, la vita che continua con la sua routine indifferente. Il mondo va avanti, la gente esce, le attività riprendono. Questo contrasto tra il macrocosmo della vita pubblica e il microcosmo di questo silenzioso addio ne amplifica l'intimità e la delicatezza.

E poi, la risoluzione del poeta: "ed io torno a me". Di fronte all'altro che "inventa" il suo mondo, il poeta non si aggrappa, non supplica, non si arrabbia. Compie un movimento speculare e contrario: un ritorno. Un ritorno a se stessi. È un atto di profonda crescita personale. Nel momento in cui si accetta pienamente la libertà dell'altro di andare per la sua strada, si è quasi costretti a ritrovare il proprio centro, la propria individualità non più definita dalla relazione.

Il titolo, "ti voglio bene", a questo punto, assume il suo significato più puro. Non è un "ti voglio" possessivo. È un "voglio il tuo bene" così autentico da accettare la distanza, la separazione, e da trovare in questo atto di amore maturo la forza per riscoprire sé stessi. È la dimostrazione che a volte amare significa lasciare andare



~Mia.

domenica 27 agosto 2023

Mitra

Mitra, Action Painting, Pittura Astratta, Analisi Opera, Arte e Violenza, Caos, Pittura Gestuale, Jackson Pollock, Arte Contemporanea, Blog d'Arte



Esplosione tra Action Painting e Guerra Interiore

L'arte ha il dovere di esplorare ogni angolo dell'esperienza umana, anche quelli più scomodi, violenti e caotici. La mia opera "Mitra" nasce da questa urgenza: dare una forma visibile all'energia dirompente, alla raffica, all'impatto. Il titolo è una dichiarazione d'intenti, una chiave di lettura che trasforma una tela di pittura astratta gestuale in un campo di battaglia. In questa analisi del quadro, vi invito a seguirmi nel decifrare la grammatica di questo caos controllato.

A prima vista, l'opera è un'esplosione di colore che ricorda lo stile dell'Action Painting di Jackson Pollock. La tela non è semplicemente dipinta, ma è diventata il ricettacolo di un'azione fisica: il colore è stato lanciato, gocciolato, schizzato. C'è un senso di immediatezza, di velocità, di un evento catturato nel suo momento culminante. Ma è il titolo, "Mitra", a guidare la nostra interpretazione oltre la pura estetica.

La Balistica del Colore: La Tela come Campo di Battaglia

La prima, più letterale, interpretazione vede l'opera come la rappresentazione di un conflitto a fuoco.

  • Le Traiettorie: Le linee nere e sottili che attraversano la tela sono le traiettorie impazzite dei proiettili. Non seguono una logica, ma creano un reticolo di violenza che non lascia scampo.
  • Gli Impatti: Ogni schizzo di colore (rosso, giallo, blu, nero) è un impatto. Il rosso è il sangue, il giallo il lampo dell'esplosione, il blu forse il freddo metallo delle armi o un livido, il nero il fumo e la distruzione. La tela è crivellata di colpi, testimone silenziosa di una violenza inaudita.
  • L'Epicentro: Al centro-destra, una massa densa e scura di colore rappreso, prevalentemente rosso e nero, spicca sul resto. È il punto di impatto principale, la ferita più grave, il cuore dell'esplosione. La sua consistenza materica, quasi un grumo di vernice solida, gli conferisce un peso e una drammaticità unici. È il centro di gravità della violenza del quadro.

La "Mitra" Metaforica: Raffiche di Emozioni e Parole

Ma la guerra non è sempre combattuta con le armi. L'arte e la psicologia ci insegnano che le battaglie più feroci sono spesso quelle interiori. "Mitra" diventa allora la metafora di altre forme di raffica.

  • Una Raffica di Parole: Il quadro può rappresentare la violenza di un litigio, una discussione feroce dove le parole diventano proiettili, ferendo e lasciando segni indelebili. Ogni schizzo è un'accusa, un'offesa, un urlo.
  • Una Raffica di Emozioni: "Mitra" può essere la perfetta visualizzazione di un attacco di panico o di un'ansia travolgente. Il caos interiore prende il sopravvento, i pensieri si accavallano veloci e incontrollabili come una sventagliata di mitra, lasciando la mente crivellata e sfinita. È la rappresentazione dell'essere sopraffatti.

Creazione Esplosiva: L'Artista come "Mitra"

Esiste una terza via interpretativa, che vede l'artista non come vittima della raffica, ma come la fonte stessa. In quest'ottica, l'atto creativo diventa un'esplosione. L'artista non dipinge con calma e riflessione, ma "spara" il colore sulla tela in un impeto di creazione esplosiva.

Il gesto diventa una liberazione, una catarsi. L'energia accumulata viene rilasciata in modo potente e quasi violento, ma per dare vita a qualcosa di nuovo. L'artista è la "mitra", la vernice è la munizione, e la tela è il mondo che viene creato da questa forza primordiale.

In definitiva, "Mitra" è un'opera polisemica che vive della tensione tra distruzione e creazione. Racconta di come la stessa energia possa ferire o dare vita, di come il caos possa essere terrificante o, se incanalato, incredibilmente generativo.


~Mia.

venerdì 11 agosto 2023

Empio

Lei ricorrente 
una scogliera
tumulti scostanti
improvvisi irriverenti
giorni riparatori
di gracile agonia.



Sacralità Profana del Dolore

Nella mia ricerca artistica, sono affascinato dalle parole che possiedono una dualità, un'ombra. "Empio" è una di queste. Evoca la profanazione, la violazione di qualcosa di sacro. Ho scelto questo titolo, quasi come una provocazione, per una poesia che parla di un'emozione ricorrente, di un tumulto interiore e di una strana, fragile guarigione. È un tentativo di esplorare la natura quasi sacrilega di un dolore che diventa un'abitudine.

A prima vista, la poesia descrive una forza della natura, una scogliera battuta da tumulti. Ma chi è "Lei"? E perché la sua presenza è "empia"?

"Lei": Una Presenza Immobile e Ricorrente

Il primo verso introduce subito il soggetto: "Lei ricorrente". Potrebbe essere una persona, un ricordo, un'emozione, forse la malinconia o l'ansia. Il fatto che sia "ricorrente" ci dice che non è un evento isolato, ma una presenza costante, un ciclo.

Il secondo verso la definisce con un'immagine potentissima: "una scogliera". "Lei" non è un'onda passeggera, ma qualcosa di solido, di antico, di immutabile. È una presenza massiccia contro cui si infrangono i "tumulti". La scogliera è sia ciò che subisce l'impatto, sia ciò che resiste, impassibile. Questa immagine suggerisce una forza stoica, ma anche una condanna all'immobilità di fronte al caos.

La Natura del Tumulto: "Scostanti, Improvvisi, Irriverenti"

Se "Lei" è la scogliera, i "tumulti" sono le onde del mare, o più metaforicamente, le crisi emotive che la colpiscono. La loro descrizione è precisa e tagliente. Sono "scostanti", ovvero incostanti, imprevedibili. Sono "improvvisi", arrivano senza preavviso. E soprattutto, sono "irriverenti".

Quest'ultimo aggettivo è fondamentale. L'irriverenza implica una mancanza di rispetto per l'ordine, per la pace, per la sacralità. Questi tumulti non hanno riguardo per la quiete della scogliera, la invadono senza permesso, in modo quasi blasfemo. Ecco che iniziamo a capire il legame con il titolo "Empio". Il caos che profana la quiete.

La Guarigione Paradossale: "Giorni Riparatori di Gracile Agonia"

Gli ultimi due versi sono i più complessi e struggenti, un vero e proprio ossimoro che racchiude il significato della poesia. Dopo la tempesta dei tumulti, arrivano i "giorni riparatori". C'è un tentativo di guarigione, di ricostruzione. Ma come avviene questa riparazione? Attraverso una "gracile agonia".

La guarigione non è una gioia solare, non è una liberazione. È un processo lento, fragile ("gracile"), e doloroso ("agonia"). È un paradosso potentissimo: si guarisce rimanendo in uno stato di sofferenza. L'agonia stessa diventa il materiale con cui si "ripara" il danno. Ci si abitua a un dolore di bassa intensità, lo si accetta come condizione per la sopravvivenza.

È questa normalizzazione del dolore, questa accettazione di un'agonia "riparatrice", a essere "empia". È la profanazione dell'idea stessa di felicità e benessere. Si profana la speranza di una guarigione completa, accontentandosi di una sopravvivenza dolente. L'elaborazione del dolore diventa un limbo perpetuo.

"Empio", quindi, non è il tumulto in sé, ma la rassegnazione a una vita dove la quiete è solo una "gracile agonia". È un'opera che esplora la complessa psicologia della resilienza, mostrando come a volte, per non spezzarci, siamo costretti a profanare la nostra stessa idea di felicità.


~Mia.

giovedì 10 agosto 2023

Liberi di Volare … Due …

Liberi di Volare, Libertà, Gabbia, Escapologia, Analisi Opera, Arte Concettuale, Simbolismo, Arte e Psicologia, Superare i Limiti, Blog d'Arte



Evasione

Cosa significa essere liberi? E cosa resta dopo una lotta per conquistare la propria libertà? La mia opera "Liberi di volare" nasce da queste domande, ma soprattutto dall'ispirazione proveniente dal mondo dell'escapologia, l'arte della fuga resa celebre da maestri come Houdini. In questa analisi del quadro, vi invito a guardare questa gabbia vuota non come un simbolo di prigionia, ma come il palcoscenico di una trionfale evasione.

A prima vista, l'opera presenta un paradosso: un titolo che parla di volo e un'immagine che raffigura una gabbia. Ma è proprio in questo contrasto che risiede la sua forza. La protagonista non è la creatura che è fuggita, ma la gabbia stessa, testimone silenziosa di una prigionia passata e, soprattutto, di una libertà conquistata.

L'opera è divisa visivamente e concettualmente in due parti.

  1. La Gabbia: È dipinta con colori scuri, terrosi. Marroni, neri e rossi che evocano il peso, la ruggine, la durezza della materia. La sua struttura è solida, le sbarre sono fitte e irregolari, suggerendo un confinamento lungo e opprimente. La base, quasi un cesto intrecciato di oscurità, rappresenta le fondamenta di questa prigione, ciò che teneva ancorati a terra. È il simbolo di tutto ciò che ci limita: una situazione, una relazione, una paura, o le nostre stesse barriere mentali.

  2. Lo Sfondo: Dietro e attraverso le sbarre, il mondo esplode in un caos vibrante di colori. È una raffica di pennellate astratte – blu, bianchi, rossi – che rappresentano la vita stessa. Non è un cielo sereno e pacifico quello che attende fuori, ma il flusso frenetico, imprevedibile e meraviglioso dell'esistenza. Questa non è la libertà della quiete, ma la libertà di partecipare al caos, di tuffarsi nel "rumore" del mondo.

L'ispirazione a un'"azione escapologica" è fondamentale per comprendere l'opera. Non stiamo parlando di una porticina lasciata aperta per caso. Stiamo parlando di uno sforzo deliberato, di un atto di intelligenza e di volontà per forzare le sbarre e spezzare le catene.

Questo quadro non celebra la libertà come un dono, ma come una conquista. I rossi sulla gabbia non sono solo ruggine, ma possono essere visti come il simbolo del sangue e del sudore versati nella lotta. L'arte dell'evasione richiede astuzia, perseveranza e un desiderio di libertà così potente da superare ogni ostacolo. È la differenza tra l'essere liberati e il liberarsi da soli. Questa opera celebra la seconda opzione.

Una volta avvenuta la fuga, la gabbia non scompare. Rimane lì, vuota, come un monumento. È il trofeo che testimonia la vittoria. Guardarla non suscita tristezza per la prigionia passata, ma orgoglio per la forza che ci è voluta per evadere.

L'opera cattura l'istante immediatamente successivo alla liberazione. L'aria vibra ancora dell'energia della fuga. La gabbia è la prova tangibile del nostro passato, un promemoria di ciò che abbiamo superato. E ci insegna che la vera libertà non significa cancellare le nostre cicatrici, ma guardarle come la mappa che ci ha condotto dove siamo ora.

"Liberi di volare" è quindi un inno alla resilienza umana, alla nostra capacità di spezzare le catene, siano esse fisiche o psicologiche, e di abbracciare la vita in tutta la sua meravigliosa e caotica complessità.


~Mia.

sabato 15 luglio 2023

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Il Respiro Necessario: Perché gli Intermezzi Sono il Cuore Nascosto di Ogni Opera

Quante volte ci siamo trovati immersi in una storia avvincente, un concerto mozzafiato, una pièce teatrale intensa, o anche un progetto lavorativo complesso, e abbiamo sentito il bisogno di una pausa, un cambio di ritmo, un momento per respirare? Non è debolezza o disattenzione; è la profonda, intrinseca necessità di ciò che, nel mondo dell'arte e non solo, chiamiamo "intermezzo".

L'intermezzo, in qualsiasi forma si manifesti, è molto più di una semplice interruzione. È una pausa strategica, un cambio di scena, un momento di riflessione che, lungi dal distrarre, arricchisce e dà profondità all'intera esperienza. Pensiamo alla musica: un intermezzo sinfonico tra due atti di un'opera non è solo un riempitivo. Spesso introduce un tema, prepara l'atmosfera per ciò che verrà, o offre un momento di pura bellezza musicale che permette all'ascoltatore di elaborare le emozioni del primo atto e prepararsi al successivo.

Nel teatro, l'intervallo non serve solo per sgranchirsi le gambe. È un momento per il pubblico di discutere, riflettere sui colpi di scena, assimilare le informazioni e le emozioni. E spesso, all'interno della stessa opera, ci sono brevi "intermezzi" narrativi – scene di alleggerimento, dialoghi che sembrano deviare dalla trama principale ma che rivelano carattere o foreshadowing, o momenti di quiete che precedono la tempesta.

Ma l'importanza degli intermezzi si estende ben oltre le arti performative. Pensiamo alla letteratura: un capitolo che si conclude con un cliffhanger e il successivo si apre con una digressione sulla storia di un personaggio secondario o una descrizione atmosferica. Questo non rallenta la trama; piuttosto, crea suspence, costruisce il mondo narrativo e dà al lettore il tempo di assorbire l'intensità del momento precedente prima di tuffarsi nuovamente nell'azione. Lo stesso vale per le pause descrittive che permettono al lettore di visualizzare meglio l'ambiente o lo stato d'animo dei personaggi.

Anche nel cinema, i montaggi alternati, i flashback o flashforward che interrompono la linearità narrativa, le scene più lente e contemplative tra sequenze d'azione frenetiche, servono come intermezzi visivi e narrativi. Permettono al pubblico di riprendere fiato, di elaborare le informazioni, e di apprezzare meglio il contrasto tra i momenti di tensione e quelli di calma.

E nella vita di tutti i giorni, o in un progetto lavorativo? Gli intermezzi sono altrettanto cruciali. Una breve pausa caffè durante una giornata lavorativa intensa, una passeggiata per schiarirsi le idee tra due compiti complessi, o anche solo un momento di silenzio per riorganizzare i pensieri prima di una decisione importante. Questi non sono momenti "persi", ma intervalli vitali che permettono alla nostra mente di ricalibrarsi, di prevenire il burnout, e di tornare al compito con rinnovata energia e prospettiva.

Gli intermezzi, quindi, sono il respiro necessario. Sono i momenti in cui l'opera (o la vita) prende una pausa, non per fermarsi, ma per permettere al pubblico, al lettore, all'ascoltatore – o a noi stessi – di metabolizzare, riflettere e prepararsi per ciò che verrà. Sono i silenzio tra le note che rendono la melodia, le pagine bianche che incorniciano il testo, le pause che rendono il discorso potente. Senza di essi, l'esperienza sarebbe un'ininterrotta, estenuante maratona, priva di ritmo, profondità e, in definitiva, di significato.

La prossima volta che incontrate un intermezzo, non liquidatelo come una semplice pausa. Riconoscetelo per quello che è: un elemento essenziale che contribuisce a rendere l'intera opera più ricca, coinvolgente e memorabile. È il luogo dove la bellezza si sedimenta e la magia si rinnova.


~Mia.

domenica 4 giugno 2023

Io, Tu …

Eravamo quei
pazzi a Venezia.



Follia d'Amore

Ci sono ricordi che non hanno bisogno di lunghi racconti. Sono come fotografie istantanee dell'anima, impresse in modo così vivido che una sola frase basta a contenerle tutte. La mia poesia "Io, tu ... " nasce da questa convinzione: che l'essenza di un legame, di un'intera stagione della vita, possa essere distillata in due soli versi.

Questa poesia è un portale. Pronunciare queste parole significa riaprire una porta su un tempo e un luogo specifici, su un modo di essere che apparteneva solo a un "noi". Analizziamo insieme come questo piccolo frammento possa raccontare una storia così grande.

Il Tempo della Nostalgia: "Io, tu..." e l'Imperfetto di "Eravamo"

Il titolo stesso, "Io, tu ...", con quei puntini di sospensione, lascia la frase in sospeso. Crea uno spazio intimo e silenzioso, un pensiero che fluttua. È l'inizio di ogni storia d'amore, la coppia primordiale.

Il verbo che segue, "Eravamo", è la chiave emotiva di tutto. L'uso del tempo imperfetto è una scelta cruciale nella lingua italiana. Non dice semplicemente "siamo stati" (un'azione conclusa), ma "eravamo". L'imperfetto è il tempo della nostalgia, di una condizione che si è protratta nel tempo, di un'abitudine felice. Descrive non cosa abbiamo fatto, ma chi eravamo. Ci trasporta immediatamente in un passato che non è percepito come morto e sepolto, ma come una dimensione ancora viva nel ricordo.

Un Patto Segreto: Chi erano "quei pazzi"?

La poesia non dice "eravamo pazzi", ma "eravamo quei pazzi". Quell'articolo determinativo ("quei") è un sigillo di unicità. Suggerisce un patto segreto, un'identità condivisa e riconosciuta solo dai due protagonisti. Non erano pazzi in modo generico; erano una specifica, irripetibile incarnazione della "follia".

Ma di quale follia stiamo parlando? Non è la follia clinica, ma la follia d'amore.

  • È la follia di chi ride troppo forte in una calle silenziosa.
  • È la follia di chi si bacia sotto la pioggia, incurante del mondo.
  • È la follia di chi vede la bellezza dove altri vedono solo decadenza.
  • È la libertà di essere se stessi fino in fondo, senza filtri e senza paura, perché si è protetti e compresi dallo sguardo dell'altro. Essere "pazzi" insieme è la forma più alta di intimità e di complicità.

Il Palcoscenico del Sogno: Perché proprio a Venezia?

La scelta del luogo non è casuale. Venezia non è solo una città, è un palcoscenico, un labirinto, un sogno galleggiante. È un luogo che esiste al di fuori delle regole del mondo ordinario.

  • È una città labirintica: Perdersi tra le calli e i canali di Venezia è parte dell'esperienza. È una metafora perfetta per due amanti che si perdono l'uno nell'altra, lontani da percorsi prestabiliti.
  • È un luogo fuori dal tempo: Con i suoi palazzi antichi e l'assenza di automobili, Venezia favorisce una sospensione dalla realtà. È l'ambiente ideale per una "follia" che non deve fare i conti con la prosaicità della vita di tutti i giorni.
  • È la città delle maschere: Venezia è il luogo dove si può essere qualcun altro, o meglio, dove si può essere la versione più vera di sé stessi, protetti dall'anonimato della sua bellezza.

Venezia, quindi, non è solo lo sfondo, ma il complice perfetto di questa affettuosa e meravigliosa pazzia.

In conclusione, "Io, tu ..." è un haiku della memoria. Celebra un passato che, anche se concluso ("eravamo"), ha definito un'identità di coppia così forte da diventare un punto fermo nel cuore. È la celebrazione di un amore che è stato, prima di tutto, una forma di libertà condivisa.


~Mia.

sabato 3 giugno 2023

A Mio Figlio

A cuor leggero
perché forse non ho più scuse
[per te]
darei la mia vita.



Incondizionato

Come si misura l'amore di un genitore? È una domanda che attraversa la storia dell'umanità, un sentimento così vasto che spesso le parole sembrano inadeguate a contenerlo. La mia poesia "a mio figlio" è un tentativo di distillare questo amore assoluto, di catturarne l'essenza non attraverso grandi dichiarazioni, ma attraverso una confessione sommessa e quasi paradossale.

Questa poesia si basa su un ossimoro, un contrasto che ne costituisce il cuore pulsante: l'idea di compiere il sacrificio più pesante "a cuor leggero". Analizziamo come questo paradosso si sviluppa.

Il Paradosso del "Cuor Leggero"

Il primo verso è spiazzante. L'atto di dare la propria vita è il gesto più estremo, più pesante che si possa immaginare. Associarlo alla leggerezza sembra quasi impossibile. Eppure, è proprio qui che si svela la natura più pura dell'amore genitoriale.

"A cuor leggero" non significa con superficialità. Significa:

  • Senza esitazione: La decisione non richiederebbe un dibattito interiore. Sarebbe istantanea, naturale, come respirare.
  • Senza peso: Il sacrificio non sarebbe vissuto come un fardello o una rinuncia, ma come il compimento di uno scopo più grande. La salvezza del figlio renderebbe "leggero" qualsiasi peso.
  • Con un senso di pace: L'atto stesso porterebbe a una risoluzione, a una quiete. La certezza di aver fatto l'unica cosa che contava davvero.

È un'espressione che spoglia il sacrificio di ogni dramma per rivelarne la natura più profonda: non un atto di morte, ma l'affermazione più radicale di un amore che dà la vita.

La Vulnerabilità di un Genitore: "Perché forse non ho più scuse"

Questo è il verso più complesso e vulnerabile dell'intera poesia. È la spiegazione del "cuor leggero", ed è una spiegazione che rivela una profonda auto-analisi. Cosa sono queste "scuse" che non si hanno più?

Diventare genitore spesso opera una sorta di semplificazione esistenziale. Molte delle cose per cui vivevamo prima – ambizioni personali, egoismi, paure, le piccole e grandi "scuse" che usiamo per proteggerci o per non dare il massimo – perdono di significato. La vita del figlio diventa il centro di gravità, il punto di riferimento assoluto.

Avere un figlio può significare non avere più "scuse" per non essere la versione migliore di sé, per non amare in modo totale. La parola "forse" è un tocco di umiltà straordinario. Non è una dichiarazione arrogante, ma una riflessione sussurrata. Il genitore si guarda dentro e "forse", con un po' di sorpresa, scopre di essere arrivato a questo punto di nudità emotiva, dove ogni altra ragione di vita impallidisce.

La Dedica Assoluta: "[per te] darei la mia vita"

Le parentesi quadre che isolano "[per te]" sono una scelta stilistica potente. Mettono il destinatario in uno spazio sacro, protetto. È il cuore della dichiarazione, ma è così ovvio e fondamentale che viene quasi messo tra parentesi, come un fondamento dato per scontato.

La frase finale, "darei la mia vita", arriva solo dopo questa preparazione psicologica. Non è più un cliché o un'iperbole romantica. È la conclusione logica e necessaria di un amore che ha eliminato ogni altra scusa, ogni altra via d'uscita. È l'unica risposta possibile alla domanda "perché vivo?".

In sintesi, "a mio figlio" non parla tanto della morte, quanto della scoperta di un amore incondizionato così potente da rendere leggero il pensiero del sacrificio ultimo. È una poesia sulla crescita personale che la genitorialità impone, spogliandoci fino a lasciarci con l'unica verità che conta davvero.



~Mia.

venerdì 2 giugno 2023

Girasole

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Natura

Avete mai osservato un girasole da vicino? Non solo la sua corolla solare, ma la trama quasi ipnotica dei suoi semi. È un capolavoro di design naturale, un simbolo di vitalità che segue la luce. Con la mia opera, intitolata semplicemente "Girasole", ho voluto esplorare proprio questo duplice aspetto: la sua anima organica e il suo scheletro matematico.

Questo non è il ritratto di un fiore colto in un campo, ma un viaggio all'interno della sua essenza. È un'opera di arte geometrica che si interroga su come l'ordine, la precisione e la regola possano dare vita a qualcosa di così universalmente riconosciuto come un simbolo di gioia e natura. In questo post vi guiderò attraverso il processo creativo e il simbolismo del girasole che si nasconde dietro ogni linea e ogni scelta cromatica.

L'idea per questo disegno geometrico non è nata osservando un campo fiorito, ma leggendo della connessione tra arte e matematica. Sono sempre stata affascinata dalla sequenza di Fibonacci, quella successione di numeri in cui ogni termine è la somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8...). Questa sequenza governa innumerevoli forme in natura: dalla conchiglia del nautilus, alle pigne, fino, appunto, alla disposizione dei semi nel capolino di un girasole.

I semi si organizzano in due serie di spirali che girano in direzioni opposte. Il numero di spirali in ciascuna direzione è quasi sempre una coppia di numeri di Fibonacci consecutivi. Questa perfezione nascosta, questo ordine nel caos apparente, è stata la vera scintilla. Volevo "disegnare" non tanto il girasole, quanto la legge matematica che lo rende così perfetto ed efficiente.

La struttura del quadro è concepita come un mandala-girasole. Il centro, il cuore pulsante dell'opera, è una griglia complessa, un reticolo che rappresenta la matrice dei semi. Qui ho passato ore a tracciare linee, a creare pattern dentro altri pattern, in un processo quasi meditativo. Questa sezione, realizzata con un marrone caldo e denso, simboleggia la terra, la fertilità, il potenziale di vita contenuto in ogni singolo seme.

Attorno a questo nucleo razionale, i petali esplodono. Ma anche qui, la geometria regna. Non sono petali morbidi e curvilinei, ma forme romboidali, diamanti di luce gialla e arancione che si irradiano verso l'esterno. Rappresentano l'energia, il calore, la manifestazione esteriore della vita. La loro ripetizione crea un ritmo, una pulsazione visiva che attira lo sguardo verso il centro e poi lo respinge verso l'esterno, proprio come l'energia del sole.

Un quadro con colori caldi e freddi vive di contrasti. La scelta dei colori non è stata casuale, ma fondamentale per trasmettere il significato del girasole in questa chiave di lettura.

  • Gialli e Arancioni: Sono i colori del sole, dell'ottimismo e della gioia. Qui sono usati in modo traslucido, quasi come vetrate di una cattedrale, per dare un senso di spiritualità e luce interiore.
  • Marrone/Rame: Il centro, come detto, è il colore della terra, della stabilità e delle origini. È il punto di partenza da cui tutto si genera.
  • Verde/Turchese: Lo sfondo, fatto di linee spezzate ed energetiche, rappresenta il mondo naturale circostante. Non è un prato tranquillo, ma un campo di energia vitale. Il suo colore freddo crea un contrasto vibrante con il calore del girasole, facendolo risaltare ancora di più e simboleggiando il contesto, l'ambiente in cui la vita fiorisce.

"Girasole" è per me la prova che arte e scienza, emozione e logica, non sono mondi separati. È un invito a guardare oltre la superficie delle cose, a cercare le strutture nascoste che governano la bellezza che ci circonda. È la celebrazione di come una regola matematica possa trasformarsi in pura poesia visiva.

Quest'opera mi ha insegnato la pazienza del tratto e la gioia della scoperta, la stessa gioia che prova un girasole nel volgersi, ogni giorno, verso la sua fonte di vita.


~Mia.

giovedì 25 maggio 2023

Nella vita di un gemelli

A dieci anni d’estate
impaziente 
attendevo di sentire
il cancello di casa 
dei miei zii aprirsi,
andavano verso mare
per poi farmi trovare sul balcone
e quasi sempre mi invitavano ad andare ... 
o forse sempre.


La Doppia Anima dell'Estate

Ci sono poesie che sono narrazioni epiche e altre che sono come fotografie dell'anima: istantanee perfette, capaci di catturare un intero universo di sensazioni in una manciata di versi. La mia poesia "nella vita di un gemelli" appartiene a questa seconda categoria. È un ricordo che affiora con la chiarezza di un sogno, un frammento di infanzia che porta con sé il profumo dell'estate e il suono di una promessa.

Vi invito a leggerla con me, prima di "zoomare" sui suoi dettagli e scoprire come ogni parola sia un piccolo ingranaggio di un meccanismo emotivo più grande.

Il Palcoscenico della Memoria: Un Balcone tra Due Mondi

La scena è di una semplicità disarmante: un bambino (o una bambina) di dieci anni, un balcone, un'estate. Ma ogni elemento è un simbolo potente. Il balcone non è solo un luogo fisico; è un palcoscenico, un confine. È lo spazio che separa il "dentro" – la casa, la staticità, l'attesa – dal "fuori", il mondo esterno che si muove verso un luogo mitico: il mare. Il mare, con tutto ciò che rappresenta: la libertà, il gioco, l'infinito.

Il vero protagonista, però, è un suono: lo scricchiolio del cancello che si apre. Quel suono è una "madeleine" proustiana, un innesco sensoriale che fa esplodere l'anticipazione. È il segnale che il mondo sta per mettersi in moto, che la monotonia dell'attesa sta per essere spezzata dalla gioia della partenza. Quell'attesa impaziente è il cuore pulsante della poesia, il motore emotivo che tutti abbiamo provato nei lunghi pomeriggi estivi della nostra infanzia.

Il Cuore Gemelli: Dualità, Attesa e Comunicazione

E qui entra in gioco il titolo: "nella vita di un gemelli". Perché questa scena è intrinsecamente "gemellare"? Il segno dei Gemelli, governato da Mercurio, è il segno della dualità, della comunicazione, della curiosità e dell'eterna giovinezza. E questa poesia ne è un ritratto perfetto.

  1. La Dualità: La scena è costruita su coppie di opposti.

    • Dentro/Fuori: Il bambino sul balcone (dentro) e gli zii che vanno al mare (fuori).
    • Staticità/Movimento: L'attesa immobile e la partenza imminente.
    • Silenzio/Suono: Il silenzio dell'attesa spezzato dal suono del cancello.
    • Realtà/Ricordo: La distinzione finale tra "quasi sempre" e "sempre", su cui torneremo.
  2. La Comunicazione: L'atto di "farsi trovare sul balcone" non è passivo. È una strategia comunicativa geniale e sottile. Non è una richiesta esplicita, non è un capriccio. È un mettersi in mostra silenzioso, un messaggio non verbale che dice: "Eccomi, esisto, vorrei tanto venire con voi". È una forma di comunicazione elegante, quasi diplomatica, tipica dell'energia dei Gemelli che sa come ottenere le cose con l'intelligenza e il fascino piuttosto che con la forza.

  3. L'Impazienza Curiosa: L'attesa "impaziente" è l'energia irrequieta del Gemelli, sempre proiettato verso la prossima avventura, il prossimo stimolo, la prossima scoperta. A dieci anni, il mare è la più grande delle avventure possibili, e l'attesa è una tortura dolce perché carica di speranza.

"Quasi Sempre... O Forse Sempre": La Nebbia Dorata del Ricordo

Gli ultimi due versi sono, a mio parere, il capolavoro della poesia. Introducono una crepa, un dubbio che rende il tutto incredibilmente autentico e struggente.

"Quasi sempre mi invitavano ad andare..."

Questa è la memoria razionale dell'adulto che ricorda. La mente sa che la perfezione assoluta è rara, che forse qualche volta l'invito non è arrivato, che qualche volta la delusione ha fatto capolino.

"... o forse sempre."

Questo è il cuore. È il desiderio del bambino interiore, è la memoria emotiva che tende a idealizzare, a trasformare i bei ricordi in una leggenda dorata. In questa piccola frase c'è tutta la nostalgia del mondo, il nostro bisogno umano di credere in un passato perfetto, in estati immacolate dove ogni attesa veniva sempre ripagata. Questa oscillazione tra il dato reale ("quasi") e il dato del cuore ("sempre") è l'essenza stessa della dualità gemellare.

Un'Estate Universale

Alla fine, "nella vita di un gemelli" trascende il suo titolo per parlare a tutti noi. Ci ricorda di quei momenti sospesi della nostra infanzia, di quelle attese cariche di promesse e di come la nostra memoria lavori incessantemente per proteggere la magia di quegli istanti.

È un invito a chiudere gli occhi e a cercare, nel nostro passato, il "suono del nostro cancello personale": quel piccolo segnale che ci diceva che stava per iniziare qualcosa di meraviglioso.


~mia.

lunedì 10 aprile 2023

Se sorridessi

Scriverei per te, burlone
raccontando del desiderio
alquanto complesso
di un sorriso imperituro.
Animo giovane, spensierato 
mi solletichi lo stomaco
nel ricordo del bambino
tra il maturare delle stagioni;
dallo schiudere d’ un fiore
in un cuore di farfalle
e dei miei occhi 
oltre ogni confine
rivolti verso te.


Un Amore Oltre Ogni Confine

Ci sono gioie silenziose, quasi segrete, che solo un genitore può comprendere fino in fondo. Una di queste è, senza dubbio, il potere racchiuso nel sorriso di un figlio. Non è solo un movimento di labbra, ma un'esplosione di luce capace di rimettere in ordine il mondo, di scaldare il cuore e di dare un senso a tutto.

Ho cercato di catturare questa sensazione inafferrabile nella mia poesia "se sorridessi", un dialogo interiore dedicato a quel sorriso ineguagliabile che sa essere, allo stesso tempo, fonte di gioia pura e di 

La poesia inizia con una dedica e una dichiarazione d'intenti. Chiamare il proprio figlio "burlone" stabilisce subito un tono di affetto, di complicità, di leggerezza. Ma subito dopo, il sentimento si fa più profondo. L'atto di scrivere diventa una necessità, una risposta a un'emozione travolgente.

E qual è l'oggetto di questa scrittura? Il "desiderio alquanto complesso di un sorriso imperituro". Questa frase è il cuore filosofico della poesia. Un genitore non desidera solo la felicità del figlio nel presente, ma sogna per lui una felicità eterna, un "sorriso imperituro", che non muore mai. È un desiderio "complesso" perché è umanamente impossibile, va contro le leggi del tempo e della vita stessa. Eppure, in questa richiesta impossibile all'universo risiede la misura esatta di un amore incondizionato.

La seconda strofa ci porta in un'altra dimensione: quella del tempo e della memoria. Il sorriso del figlio, oggi, non è un evento isolato. Il suo "animo giovane, spensierato" provoca una reazione fisica, viscerale: "mi solletichi lo stomaco". È la sensazione delle farfalle, un misto di gioia e amore che si agita dentro.

Ma questa sensazione presente si lega indissolubilmente al "ricordo del bambino". Vedendo il figlio oggi, il genitore rivede anche tutte le versioni passate di lui. È qui che la poesia tocca una corda di dolce nostalgia. La frase "tra il maturare delle stagioni" è una metafora meravigliosa per descrivere la crescita, il passare inesorabile del tempo che trasforma un neonato in un bambino e poi in un ragazzo. C'è la gioia di vederlo crescere, ma anche la consapevolezza malinconica che ogni fase della sua infanzia è unica e fugace.

La strofa finale è un'esplosione di immagini potenti che descrivono l'effetto del sorriso sul genitore. Cosa succede dentro, nel momento esatto in cui quel sorriso appare?

  • "dallo schiudere d’ un fiore": Il sorriso è come un bocciolo che si apre. È un evento naturale, perfetto, un piccolo miracolo di bellezza che porta con sé la promessa della primavera, della vita che si rinnova.
  • "in un cuore di farfalle": L'immagine del fiore si collega a quella delle farfalle, creando un ecosistema di gioia pura all'interno del genitore. Il cuore non è più solo un organo, ma un giardino interiore che fiorisce e si popola di leggerezza.
  • "e dei miei occhi oltre ogni confine / rivolti verso te": Questa è la chiusura, la dichiarazione finale. L'amore di un genitore è uno sguardo totalizzante. In quel momento, non esiste nient'altro. I confini del mondo, le preoccupazioni, il rumore di fondo della vita, tutto svanisce. Esiste solo quello sguardo, un faro puntato costantemente sul figlio, un amore che va "oltre ogni confine" geografico, temporale ed emotivo.

"Se sorridessi" è un viaggio intimo nell'amore genitoriale. Racconta come un semplice sorriso possa diventare un evento cosmico, capace di farci scrivere, ricordare, fiorire e guardare al futuro con un amore che non conosce limiti. È la celebrazione di un legame unico, un sentimento che, pur nascendo da un'esperienza personalissima, si rivela profondamente universale.


~mia.





venerdì 24 marzo 2023

Labbra

L’ andirivieni dei treni
le pagine belle di un libro
tra la vita di tutti i giorni
rimbomba un fonema
come fosse metallo
a rugliare nelle paure.


Un Suono che Infrange il Quotidiano

Le labbra. Sono il confine tra il nostro mondo interiore e quello esteriore. Dalle labbra nascono i baci, i sussurri, le parole che consolano. Ma sempre dalle labbra può scaturire un suono capace di ferire, di incrinare la realtà, di piantarsi nella memoria come una scheggia.

La mia poesia "Labbra" esplora proprio questa seconda, più oscura, possibilità. È un frammento che fotografa l'istante esatto in cui la melodia rassicurante della vita di tutti i giorni viene infranta da un suono che si fa minaccia

I primi tre versi costruiscono volutamente una scenografia di ordinaria tranquillità.

  • "L’ andirivieni dei treni": È l'immagine del mondo che va avanti. È il simbolo della routine, del viaggio, di un movimento costante e prevedibile. Il suono del treno, in lontananza, è spesso un sottofondo quasi confortante della vita urbana.
  • "le pagine belle di un libro": Qui l'attenzione si sposta dall'esterno all'interno, in uno spazio privato di piacere e cultura. Il libro rappresenta l'ordine, la narrazione, la possibilità di rifugiarsi in storie che hanno un inizio e una fine. È un'oasi di bellezza controllata.
  • "tra la vita di tutti i giorni": Questo verso è il collante che tiene insieme la scena. Ci dice che i treni e i libri non sono eventi eccezionali, ma parte del tessuto della nostra esistenza, del flusso placido e familiare del quotidiano.

In queste poche righe, si delinea un'atmosfera di pace, una "quiete prima della tempesta" emotiva che sta per scatenarsi.

Ed è qui che tutto si rompe. Improvvisamente, in questo scenario pacifico, "rimbomba un fonema". Analizziamo questa scelta di parole:

  • "Rimbomba": Non è un suono qualunque, è un'eco potente, invasiva, che occupa tutto lo spazio acustico e mentale. Ha una qualità quasi violenta.
  • "un fonema": L'elemento geniale è questo. Non rimbomba una parola, né una frase, ma un "fonema", l'unità sonora più piccola di una lingua. È un suono quasi astratto, spogliato di significato ma non di potere. Potrebbe essere una singola vocale, una consonante dura. Questa scelta lo rende più primordiale, più inspiegabile e per questo più spaventoso.

La poesia prosegue con una similitudine agghiacciante: "come fosse metallo". Il suono, nato dalle labbra (un organo morbido, umano), assume le qualità del metallo: freddo, duro, pesante, industriale, privo di vita e di empatia. È un suono che ferisce, che non si può piegare. Il contrasto tra la fonte ("Labbra") e la natura del suono (metallo) è il cuore del dramma. Forse una parola detta con crudeltà, una notizia gelida, un'offesa che si conficca dentro.

L'ultimo verso è la destinazione di questo suono metallico: "a rugliare nelle paure". Il verbo "rugliare" è animalesco, primitivo. Appartiene a una bestia feroce. Questo fonema non è più un'eco passiva, ma un'entità viva e aggressiva che ha trovato una tana. E questa tana sono le nostre paure.

La paura non è più un'emozione astratta, ma un luogo fisico, una caverna interiore dove questo suono mostruoso si è insediato e continua a "rugliare". È l'immagine perfetta di un trauma, di un'ansia persistente, di un pensiero ossessivo che non dà tregua. È il rumore di fondo della nostra inquietudine che, a volte, si amplifica fino a diventare un ruggito che copre ogni altro suono.

"Labbra" è una poesia sulla vulnerabilità. Ci ricorda come la nostra pace interiore, costruita con la routine e le piccole gioie ("i treni", "i libri"), sia in realtà fragile. Basta un fonema, un frammento di suono nato da labbra umane ma trasfigurato in metallo, per far crollare tutto e risvegliare le bestie che dormono nelle nostre paure.

È un monito sul potere, spesso sottovalutato, delle parole e dei suoni. E ci lascia con una domanda sospesa: come si fa a zittire un ruggito che viene da dentro?


~mia.



Random 3

Siamo Davvero Liberi di Scegliere o è Già Tutto Scritto nel Nostro Cervello? Ciao a tutti, appassionati della mente e curiosi dell'unive...