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mercoledì 24 gennaio 2024

Pensieri d’ un viaggio (r)

Sono consapevole di come questa astinenza
sia un complesso da sostenere;
tutta la dopamina 
quando dico di amarlo
di preoccuparmi per la sua salute
di renderlo felice nel mio miglior modo
abbracciarlo e sentirlo a me il più vicino possibile.
Sprofondo poi, in quel burrone di anni fa
lottando con tutte le forze
al punto di non averne più 
per continuare a nuotare,
perché è un’ acqua pesante 
questa, non mi tiene a galla
se mi fingo morto.
Ricomincio vacillante
mentre resta vago il tentativo 
di ritrovarmi ancora una volta pronto;
allora riparto sempre
ed è vero che qui non si può non morire.



L'Anima Tra Luce e Abisso

La serie "Pensieri d'un Viaggio" è per me un diario poetico, un modo per esplorare le intricate vie dell'animo umano e i percorsi a volte tortuosi che ci troviamo a percorrere. La poesia che presento oggi è un'immersione profonda in quelle sfumature emotive che spesso restano inespresse, un tentativo di dare voce a una lotta interiore che molti forse conoscono, ma che raramente viene raccontata con tanta cruda onestà. È un componimento che parla di amore, di cura, ma anche del peso insopportabile del passato e della perenne fatica di riemergere.

Questa poesia è nata da una riflessione sulla duplice natura dell'esperienza umana: la capacità di provare gioia e connessione profonda, e la tendenza, a volte improvvisa, a sprofondare in abissi di dolore derivanti da ferite antiche. L'ispirazione risiede in quel contrasto vivido tra il desiderio di offrire amore puro e incondizionato e la presenza incombente di un passato che non smette di esercitare la sua forza attrattiva, trascinandoci indietro.

Il titolo generale della serie, "Pensieri d'un Viaggio", si adatta perfettamente a questo componimento, poiché la poesia stessa è un viaggio, non attraverso luoghi fisici, ma attraverso gli strati della coscienza, tra il presente luminoso e un passato oscuro che si rifiuta di dissolversi.

La poesia si apre con una consapevolezza quasi scientifica, ma profondamente emotiva: "Sono consapevole di come questa astinenza / sia un complesso da sostenere;" L'astinenza qui non è legata a una sostanza, ma a uno stato d'essere, forse alla pace, alla leggerezza, o alla semplice assenza di quel "complesso" che grava sull'anima. È la percezione di un vuoto, di una mancanza che necessita di uno sforzo immane per essere gestita, un fardello emotivo che si è incancrenito nel tempo.

Segue un'esplosione di desiderio e di amore puro: "tutta la dopamina / quando dico di amarlo / di preoccuparmi per la sua salute / di renderlo felice nel mio miglior modo / abbracciarlo e sentirlo a me il più vicino possibile." Qui, la parola "dopamina" è una scelta lessicale geniale. Non è solo un riferimento chimico, ma evoca la scarica di piacere, benessere e gratificazione che deriva dall'atto di amare, dal prendersi cura dell'altro. È l'apice della connessione umana, la pulsione vitale che ci spinge verso l'altro, verso la felicità condivisa. L'elenco di azioni ("dico di amarlo", "preoccuparmi", "renderlo felice", "abbracciarlo") dipinge un quadro di devozione totale, di un amore che si manifesta nel prendersi cura, nel donarsi.

Ma la luminosità di questa "dopamina" è bruscamente interrotta: "Sprofondo poi, in quel burrone di anni fa / lottando con tutte le forze / al punto di non averne più / per continuare a nuotare," Il "burrone di anni fa" è l'immagine centrale del trauma, del ricordo doloroso che si riapre improvvisamente, trascinando il sé poetico in un abisso. Non è una caduta lenta, ma uno "sprofondo", una discesa rapida e incontrollabile. La lotta è estenuante, una battaglia con tutte le forze, che porta all'esaurimento totale, alla perdita della capacità di reagire, di "nuotare" per salvarsi. È la rappresentazione vivida dell'impatto debilitante del PTSD, della depressione, o di qualsiasi ferita emotiva irrisolta che riemerge con violenza.

La metafora dell'acqua si fa più densa e tangibile: "perché è un’ acqua pesante / questa, non mi tiene a galla / se mi fingo morto." L'"acqua pesante" è il peso opprimente di questo passato, di queste emozioni che non solo non sostengono, ma che tirano giù. Non è un'acqua che permette di galleggiare, nemmeno fingendosi indifferenti o passivi ("se mi fingo morto"). Questo suggerisce che l'unico modo per affrontare questa realtà è lottare attivamente, poiché la resa o la negazione non offrono scampo. È una condizione in cui la vita stessa sembra priva di quel naturale supporto che ci tiene a galla.

La chiusura del componimento è un ciclo di fatica e una cruda accettazione: "Ricomincio vacillante / mentre resta vago il tentativo / di ritrovarmi ancora una volta pronto; / allora riparto sempre / ed è vero che qui non si può non morire." Il "ricomincio vacillante" rivela la resilienza, seppur precaria, del soggetto. C'è sempre un tentativo di riprendersi, di risalire, ma è un tentativo "vago", privo di quella ferma convinzione o energia del passato. La prontezza desiderata ("ritrovarmi ancora una volta pronto") è un miraggio, un obiettivo difficile da raggiungere. E così, il ciclo si ripete: "riparto sempre". Questo suggerisce un'esistenza scandita da queste immersioni e risalite, una lotta perpetua. L'ultima riga, lapidaria e potente, "ed è vero che qui non si può non morire", non implica necessariamente la morte fisica, ma una morte emotiva, una costante perdita di sé, un esaurimento che fa parte integrante di questo viaggio. È l'accettazione della fragilità umana, del fatto che in certi contesti o con certi fardelli, una parte di noi è destinata a soccombere, o almeno a essere costantemente messa alla prova fino al limite estremo. È l'amara consapevolezza che la vita, nel suo aspetto più crudo, impone un prezzo, e talvolta quel prezzo è la morte di una parte di noi stessi, o l'impossibilità di evitare l'annichilimento in quel "burrone".

Scrivere questa poesia è stato un atto di confessione, un tentativo di dare forma a sensazioni complesse e spesso contraddittorie. La scelta di immagini così vivide – la dopamina che esplode, il burrone, l'acqua pesante – è stata dettata dalla necessità di esprimere l'intensità di questa esperienza interiore. La struttura frammentata, quasi un respiro affannoso, riflette la difficoltà di articolare un dolore così profondo, ma anche la forza di volontà che spinge a "ricominciare vacillante".

Questa poesia è un promemoria che anche nei momenti di profonda oscurità, l'amore e la connessione umana continuano a esistere, e che la lotta, per quanto estenuante, è una parte intrinseca del viaggio umano. È un invito a riconoscere la propria vulnerabilità e, allo stesso tempo, a celebrare la propria resilienza, anche se essa si manifesta attraverso un "ricomincio vacillante".

"Pensieri d'un Viaggio" in questa sua specifica espressione, è una poesia che risuona con chiunque abbia mai sperimentato il peso del passato che irrompe nel presente, o la fatica di mantenere a galla la propria anima. Ci ricorda che la vita è un continuo salire e scendere, un nuotare in acque a volte troppo pesanti. Ma nel coraggio di "ripartire sempre", anche se "vacillante", risiede la vera forza dell'essere umano. La "morte" evocata alla fine non è la fine del viaggio, ma forse la consapevolezza che ogni ripartenza comporta un lasciar andare, un morire a una vecchia versione di sé per poterne creare una nuova, anche se incerta.


~Mia.




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