Sacralità Profana del Dolore
Nella mia ricerca artistica, sono affascinato dalle parole che possiedono una dualità, un'ombra. "Empio" è una di queste. Evoca la profanazione, la violazione di qualcosa di sacro. Ho scelto questo titolo, quasi come una provocazione, per una poesia che parla di un'emozione ricorrente, di un tumulto interiore e di una strana, fragile guarigione. È un tentativo di esplorare la natura quasi sacrilega di un dolore che diventa un'abitudine.
A prima vista, la poesia descrive una forza della natura, una scogliera battuta da tumulti. Ma chi è "Lei"? E perché la sua presenza è "empia"?
"Lei": Una Presenza Immobile e Ricorrente
Il primo verso introduce subito il soggetto: "Lei ricorrente". Potrebbe essere una persona, un ricordo, un'emozione, forse la malinconia o l'ansia. Il fatto che sia "ricorrente" ci dice che non è un evento isolato, ma una presenza costante, un ciclo.
Il secondo verso la definisce con un'immagine potentissima: "una scogliera". "Lei" non è un'onda passeggera, ma qualcosa di solido, di antico, di immutabile. È una presenza massiccia contro cui si infrangono i "tumulti". La scogliera è sia ciò che subisce l'impatto, sia ciò che resiste, impassibile. Questa immagine suggerisce una forza stoica, ma anche una condanna all'immobilità di fronte al caos.
La Natura del Tumulto: "Scostanti, Improvvisi, Irriverenti"
Se "Lei" è la scogliera, i "tumulti" sono le onde del mare, o più metaforicamente, le crisi emotive che la colpiscono. La loro descrizione è precisa e tagliente. Sono "scostanti", ovvero incostanti, imprevedibili. Sono "improvvisi", arrivano senza preavviso. E soprattutto, sono "irriverenti".
Quest'ultimo aggettivo è fondamentale. L'irriverenza implica una mancanza di rispetto per l'ordine, per la pace, per la sacralità. Questi tumulti non hanno riguardo per la quiete della scogliera, la invadono senza permesso, in modo quasi blasfemo. Ecco che iniziamo a capire il legame con il titolo "Empio". Il caos che profana la quiete.
La Guarigione Paradossale: "Giorni Riparatori di Gracile Agonia"
Gli ultimi due versi sono i più complessi e struggenti, un vero e proprio ossimoro che racchiude il significato della poesia. Dopo la tempesta dei tumulti, arrivano i "giorni riparatori". C'è un tentativo di guarigione, di ricostruzione. Ma come avviene questa riparazione? Attraverso una "gracile agonia".
La guarigione non è una gioia solare, non è una liberazione. È un processo lento, fragile ("gracile"), e doloroso ("agonia"). È un paradosso potentissimo: si guarisce rimanendo in uno stato di sofferenza. L'agonia stessa diventa il materiale con cui si "ripara" il danno. Ci si abitua a un dolore di bassa intensità, lo si accetta come condizione per la sopravvivenza.
È questa normalizzazione del dolore, questa accettazione di un'agonia "riparatrice", a essere "empia". È la profanazione dell'idea stessa di felicità e benessere. Si profana la speranza di una guarigione completa, accontentandosi di una sopravvivenza dolente. L'elaborazione del dolore diventa un limbo perpetuo.
"Empio", quindi, non è il tumulto in sé, ma la rassegnazione a una vita dove la quiete è solo una "gracile agonia". È un'opera che esplora la complessa psicologia della resilienza, mostrando come a volte, per non spezzarci, siamo costretti a profanare la nostra stessa idea di felicità.