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domenica 19 febbraio 2023

Felicità

Le ali
non spaventano
di occhietti
che trasformano in te 
la mia libertà.



Felicità è Libertà Trasformata: Analisi della Poesia "Felicità"

Cos'è la felicità? E cos'è la libertà? Spesso pensiamo a quest'ultima come a un paio d'ali, alla possibilità di volare senza restrizioni, senza legami. Ma se la vera felicità, la forma più pura di libertà, si trovasse non nell'assenza di legami, ma nel donare volontariamente le proprie ali a qualcun altro?

Questo paradosso meraviglioso è il cuore della mia breve poesia "Felicità", un testo che cerca di dare una forma a un sentimento tanto ineffabile quanto universale.

La poesia si apre con un'immagine potentissima: "Le ali". Le ali sono il simbolo archetipico della libertà, dell'indipendenza, dell'individualità. Rappresentano la vita del "prima", la capacità di andare ovunque, di perseguire ambizioni personali senza vincoli.

Il verso successivo, "non spaventano", è una dichiarazione di una forza e di una serenità immense. Implica che, in teoria, queste ali potrebbero spaventare. E perché? Perché l'arrivo di un figlio, l'atto di dedicarsi completamente a un altro essere, porta con sé la tacita consapevolezza che quelle ali dovranno cambiare funzione. C'è la paura, umana e legittima, di perdere la propria identità, di non poter più "volare" come prima.

La poesia inizia quindi con una vittoria: la paura è stata guardata in faccia e superata. Non c'è rimpianto né terrore in questa nuova fase della vita. C'è solo una calma e matura accettazione.

A chi appartengono queste ali che non fanno più paura? Il verso successivo ce lo svela con una tenerezza disarmante: "di occhietti".

L'uso del diminutivo "occhietti" è una scelta cruciale. Trasporta immediatamente il lettore in una dimensione di intimità e affetto profondo. Non sono gli occhi di un adulto, ma quelli piccoli e curiosi di un bambino. Sono questi occhietti ad essere i veri protagonisti, gli alchimisti capaci di compiere la magia descritta nei versi successivi.

Lo sguardo di un bambino ha un potere unico: ci costringe a vedere il mondo daccapo, a riscoprire la meraviglia nelle piccole cose. E, come ci mostra la poesia, ha il potere di operare una trasformazione radicale.

Questi ultimi due versi sono il cuore pulsante della poesia e la sua definizione di "Felicità". Gli occhietti del bambino compiono un miracolo: "trasformano in te la mia libertà".

Analizziamo questa frase straordinaria. La libertà non viene cancellata, non viene distrutta o rubata. Non è una perdita. È una trasformazione. La mia libertà personale, le mie "ali", non svaniscono nel nulla, ma vengono riforgiate e trovano una nuova, più elevata, forma di esistenza nella persona di mio figlio.

  • La libertà di viaggiare per il mondo diventa la libertà di esplorare l'universo in un filo d'erba nel parco, insieme a te.
  • La libertà di dedicarmi senza sosta alle mie passioni diventa la libertà di insegnarti a scoprire le tue, e di gioire dei tuoi successi come se fossero i miei.
  • La libertà di essere un "io" solitario e indipendente diventa la libertà più grande di tutte: quella di essere un "noi", uniti da un legame indissolubile.

La felicità, quindi, non è avere le ali per volare via, ma scoprire che quelle stesse ali possono diventare un nido, un rifugio. È capire che la massima espressione della propria libertà non è l'assenza di legami, ma la scelta consapevole di legarsi per amore.

"Felicità" ci offre una visione controcorrente ma profondamente vera. In un mondo che spesso esalta l'individualismo, questa poesia ci ricorda che l'essere umano trova il suo compimento più autentico nella relazione, nel dono di sé.

La vera libertà non è non avere nulla da perdere; è avere qualcosa – o qualcuno – per cui vale la pena trasformare tutto ciò che siamo. E questa, forse, è la definizione più accurata e commovente della felicità.

~mia.

domenica 5 febbraio 2023

Passeggiare la sera

Passeggiare la Sera quadro Analisi quadro astratto Pittura espressionista italiana Pittura materica



Tra Caos Urbano ed Energia Interiore

Passeggiare la sera in una città non è quasi mai un'esperienza tranquilla. È un'immersione in un vortice di stimoli: le luci artificiali che deformano i colori, il nero del cielo che si scontra con il bagliore delle vetrine, il movimento incessante di un mondo che non si ferma.

La mia opera, intitolata "Passeggiare la Sera", non cerca di ritrarre una via o una piazza specifica. Cerca, piuttosto, di dipingere la sensazione stessa di questa esperienza: un dialogo tra l'energia interiore di un individuo e il caos vibrante del paesaggio urbano notturno. Attraverso l'uso di una pittura espressionista e di una tecnica a impasto, ho voluto dare corpo e materia a questo momento.

Al centro della composizione, sulla sinistra, si staglia una figura. Non è un ritratto, ma un'essenza. Il suo corpo è un blocco di giallo primario, un colore che qui non rappresenta la gioia solare, ma un'energia quasi elettrica, una luce personale che si fa strada nel buio. Potrebbe essere la luce di un lampione che si aggrappa alla sua figura, o più probabilmente, la sua stessa forza vitale, un nucleo di calore e individualità che lo rende protagonista della scena.

Su questo giallo vibrante, esplodono macchie di rosso e arancione. Sono il suo cuore pulsante, le sue emozioni, i suoi pensieri. Il rosso è il colore della passione, dell'intensità, forse anche di una certa urgenza. Le due pennellate spesse che si allungano verso il basso non sono semplici gambe: sono il gesto stesso del camminare, un passo deciso su un terreno tutt'altro che stabile.

Il Paesaggio Urbano: Un Vortice di Stimoli

Tutto intorno alla figura, la "sera" prende vita in un caos controllato.

  • Il Terreno: Il suolo è un amalgama di grigi, neri e bianchi. Non è un marciapiede liscio, ma una superficie scabra, irregolare, quasi tumultuosa. La pittura spessa e materica suggerisce un asfalto bagnato dalla pioggia, dove le luci si riflettono in modo confuso e frammentario.
  • Le Luci e le Ombre: Il resto della tela è una battaglia tra il blu profondo e il nero della notte e altre esplosioni di giallo. Questi gialli non sono fari rassicuranti, ma lampi, bagliori improvvisi di lampioni, vetrine o fari di automobili che lacerano l'oscurità.
  • I Colori della Notte: L'inclusione di verdi acidi e tonalità olivastre è una scelta deliberata per rappresentare come la luce artificiale della sera alteri la nostra percezione. Un albero o una siepe non appaiono mai del loro colore naturale sotto un lampione; assumono tinte strane, quasi aliene, contribuendo al senso di un'atmosfera vibrante e talvolta straniante.

La Tecnica che Racconta: Il Potere dell'Impasto

In quest'opera, la tecnica non è secondaria al soggetto, ma è essa stessa parte della narrazione. Ho utilizzato la pittura a impasto, applicando il colore in strati spessi e densi, spesso direttamente dal tubetto o con una spatola.

Questa scelta ha uno scopo preciso:

  • Dare Fisicità: La texture tridimensionale rende l'esperienza quasi tattile. Si può quasi sentire la ruvidità del terreno sotto i piedi della figura.
  • Esaltare l'Energia: Le pennellate non sono sfumate, ma sono gesti energici, a tratti quasi violenti. Questo trasmette il ritmo frenetico della città, il flusso incessante di energia che attraversa la scena. Le striature sulla destra potrebbero rappresentare la velocità, il movimento sfocato, il rumore visivo della metropoli.

"Passeggiare la Sera" non è la cronaca di una camminata, ma la sua traduzione emotiva. È il racconto della solitudine e allo stesso tempo della vitalità dell'individuo immerso nella folla anonima della città. È il contrasto tra la propria luce interiore, calda e definita, e la frammentazione di un mondo esterno che è affascinante e travolgente allo stesso tempo.

È l'energia di chi, passo dopo passo, non si limita a percorrere la città, ma la assorbe e la riflette, diventando egli stesso una luce in movimento nella notte.


~mia.

sabato 7 gennaio 2023

E lì …

… di occhi
pastello
d’ opere 
in fini,
un cielo matto
di barchette di carta, sospese.


Analisi poesia "e lì..." Poesia surrealista italiana Significato poesia onirica Immaginazione e poesia

















Sguardi Pastello e Cieli di Carta

Ci sono poesie che non raccontano una storia, ma socchiudono una porta. Sono spiragli, brevi e intensi, su un mondo interiore, su un ricordo o su un sogno. La mia poesia, intitolata con un sussurro, "e lì ...", è uno di questi spiragli. Il titolo stesso, con quella sua sospensione, ci invita a sbirciare in un "lì" che non si trova su nessuna mappa, un luogo dell'anima dove la logica lascia il posto alla meraviglia.

Vi invito a entrare con me in questo frammento di fantasia.

e lì ...

La poesia inizia con un'ellissi e con uno sguardo: "… di occhi / pastello". Non sappiamo di chi siano questi occhi, e questo li rende universali. Potrebbero essere gli occhi di un bambino, pieni di innocenza, o quelli di un'anima sognatrice. L'aggettivo "pastello" è una scelta chiave: evoca delicatezza, morbidezza, colori tenui. È uno sguardo che non giudica, non analizza con durezza, ma accoglie il mondo con una sensibilità gentile. È lo sguardo necessario per poter vedere ciò che sta per essere svelato.

Questi occhi guardano "d’ opere / in fini". Questa espressione è meravigliosamente ambigua. Potremmo leggerla come "opere con dei fini", con degli scopi precisi. Ma la sua assonanza con la parola "infiniti" ci suggerisce una lettura più poetica: opere in-finite, opere senza fine. Lo sguardo pastello si posa su un mondo di creatività illimitata, di possibilità che si susseguono senza mai esaurirsi. La visione che seguirà è solo una di queste infinite opere dell'immaginazione.

Questi primi versi, quindi, preparano il terreno. Ci dicono che stiamo per entrare in un regno accessibile solo tramite uno sguardo gentile e una mente aperta all'infinita creatività.

Ed ecco che la visione si manifesta in tutta la sua surreale bellezza: "un cielo matto / di barchette di carta, sospese.".

Analizziamo questa immagine straordinaria:

  • "Un cielo matto": Definire il cielo "matto" è un atto di pura fantasia. È un cielo che si ribella alle leggi della fisica e della normalità. Ma non è una follia spaventosa; è la "mattana" gioiosa e imprevedibile di un bambino, la libertà creativa di un artista surrealista. È un cielo che fa ciò che vuole, e ciò che vuole è essere bellissimo e impossibile.
  • "di barchette di carta": Questo dettaglio riempie il cielo di un'infinita tenerezza. Le barchette di carta sono un simbolo universale dell'infanzia, della semplicità, di un gioco nato da un foglio bianco. Sono oggetti fragili, destinati all'acqua, non all'aria. Vederle popolarlo al posto delle nuvole o delle stelle è un'immagine che capovolge il mondo e scalda il cuore.
  • "sospese.": Questa parola finale, isolata dalla virgola, è forse la più importante. Le barchette non volano, non cadono, non navigano. Sono "sospese". L'intera scena è bloccata in un istante di perfezione immobile. È un momento di silenzio assoluto, un respiro trattenuto per non rovinare l'incanto. Questa sospensione dona all'immagine un senso di pace profonda, di un sogno lucido da cui non ci si vuole svegliare.

"E lì..." è la descrizione di un luogo interiore. Quel "lì" a cui allude il titolo non è altro che uno spazio nell'anima dove tutto è possibile. È un luogo costruito con la delicatezza di uno sguardo color pastello, alimentato da una creatività senza fine e abitato da visioni di una bellezza fragile e impossibile, come barchette di carta che galleggiano silenziose in un cielo che ride delle regole.

È un invito a trovare e custodire il nostro personale "lì". Un promemoria che ci ricorda che, a volte, la visione più vera e confortante non è quella che vediamo ad occhi aperti nel mondo reale, ma quella che troviamo ad occhi chiusi, in quello spazio segreto e "matto" della nostra immaginazione.




~mia.

giovedì 8 dicembre 2022

Nero Luce

Mamma, in fine cos’è tutto questo ?
Forse la nostra lotta
per qualcosa di più profondo;
il bene in cui crediamo ?
Eppure non riconosciamo quei posti 
ormai troppo lontani
oppure facilitati
in un tempo e uno spazio
più veloce di quanto possiamo,
sospesi in quei secondi di vita
per ridurci poi in un attimo assente.
Ora, presenti verso un futuro inconsapevole
in cui dominano nostri
nuovi sentimenti,
io credo 
perseverante
in noi.



Smarrimento e Fede 

Esistono domande che ci portiamo dentro per una vita intera. Domande sul senso delle cose, sulla direzione del nostro cammino, sulla natura della nostra lotta. La mia poesia "Nero Luce" nasce da una di queste domande fondamentali, ma cerca di trasformare l'oscurità del dubbio in un'affermazione di speranza.

Il titolo è un ossimoro, una contraddizione in termini: il Nero del disorientamento, del futuro ignoto, dell'attimo in cui ci sentiamo assenti; e la Luce della fede, della perseveranza, della convinzione che, nonostante tutto, valga la pena credere "in noi".

La poesia si apre con la domanda più semplice e al contempo più complessa, rivolta alla figura primordiale: la madre. Rivolgersi alla "Mamma" è un ritorno alle origini, un cercare risposte non nelle filosofie complesse, ma nella fonte stessa della vita. È un gesto di vulnerabilità e di fiducia.

La prima risposta che il poeta si dà è una definizione nobile dell'esistenza: la vita è "la nostra lotta / per qualcosa di più profondo". Non un'esistenza casuale, ma una battaglia mirata, una tensione verso "il bene in cui crediamo". Questa prima strofa definisce l'essere umano come un idealista, un combattente per un valore.

Subito dopo questa affermazione di principio, però, si insinua il dubbio, lo smarrimento. "Eppure non riconosciamo quei posti". Quei punti di riferimento, forse i valori stessi per cui lottiamo, sembrano svanire. E per quale motivo? La poesia offre due spiegazioni incredibilmente attuali:

  1. Sono "ormai troppo lontani": C'è un senso di distanza, di disconnessione da un passato o da ideali che non sentiamo più nostri.
  2. Oppure sono "facilitati / in un tempo e uno spazio / più veloce di quanto possiamo": Questa è una critica lucida alla modernità. La velocità del mondo contemporaneo, la "facilità" con cui si ottiene tutto, finisce per svuotare di significato le esperienze. Viviamo in un flusso così rapido che non abbiamo il tempo di creare legami profondi con i luoghi, le persone, i valori.

Questa accelerazione ci porta a una condizione esistenziale precaria: siamo "sospesi in quei secondi di vita", incapaci di afferrare il presente, finendo per essere ridotti a un "attimo assente". È la fotografia perfetta dell'uomo moderno: perennemente connesso ma fondamentalmente assente, sempre in movimento ma esistenzialmente immobile.

Proprio quando il "Nero" sembra prendere il sopravvento, la poesia ha una svolta. Un "Ora" potente segna un cambio di rotta: "Ora, presenti verso un futuro inconsapevole". Nonostante lo smarrimento e l'assenza, c'è una decisione cosciente di essere "presenti". È l'accettazione del paradosso: si può essere pienamente nel presente anche se ci si muove verso un futuro di cui non si sa nulla ("inconsapevole"). Si accetta l'incertezza, ma non si rinuncia a vivere.

In questo futuro, inoltre, "dominano nostri / nuovi sentimenti". È il riconoscimento che siamo esseri in divenire. La lotta e lo smarrimento ci trasformano, creano in noi nuove emozioni, nuove consapevolezze. Non siamo più quelli che eravamo all'inizio della lotta.

Ed eccoci al finale, il punto in cui la "Luce" del titolo vince sul "Nero". Dopo il dubbio, la lotta e la trasformazione, emerge una certezza. Non una certezza sul futuro, ma una fede incrollabile: "io credo / perseverante / in noi."

  • "Io credo": È una dichiarazione personale, forte, che nasce dall'esperienza, non da un dogma.
  • "perseverante": Questa fede non è ingenua. È una fede che ha attraversato il dubbio ed è sopravvissuta. È tenace, ostinata, consapevole delle difficoltà.
  • "in noi": Questo "noi" è la destinazione di tutta la poesia. Potrebbe essere il "noi" intimo tra figlio e madre, il legame che resiste a tutto. Ma, in senso più ampio, è un "noi" universale. È la fede nella connessione umana, nella nostra capacità collettiva di lottare per il bene, nella resilienza della nostra specie.

"Nero Luce" è quindi il racconto di un'anima che si interroga, si perde e infine si ritrova non in una verità assoluta, ma nella fede perseverante nel legame umano come unica, vera luce nell'oscurità dell'esistenza.



~Mia.


martedì 1 novembre 2022

La Mia Età

Camminando
ho imparato ad alzare la testa
per non perdermi tra le mie convinzioni,
perché continuando a perdermi
ho continuato a perdere tutto…
Ho imparato ad essere felice
anche quando stringo il mio cuore in un pugno
anche quando sono solo con me stesso,
ho dovuto imparare
e nonostante tutto ciò che accade
l’ amore s’ effonde 
nella sconfinata grazia dell’ esistenza. 



La Saggezza Appresa

L'età non è solo un numero che avanza. È un bagaglio, una somma di lezioni impartite dalla vita, spesso con durezza. È la saggezza che si conquista "camminando", cadendo e rialzandosi. La vera età di una persona si misura dalla profondità del suo sguardo, dalla sua capacità di trovare la pace nel tumulto e, infine, dalla sua comprensione del proprio posto nel mondo.

La mia poesia, intitolata "la mia età", è un tentativo di dare voce a questo percorso. È una mappa che segna le tappe di un'educazione sentimentale e spirituale, un viaggio dall'ego alla grazia.

La poesia inizia con il verbo che definisce la vita stessa: "Camminando". La vita è un viaggio, un percorso. E in questo cammino, la prima e fondamentale lezione è stata quella di "alzare la testa".

Questa non è solo un'azione fisica, ma una profonda metafora spirituale. "Alzare la testa" significa smettere di guardare solo la punta dei propri piedi, ovvero smettere di perdersi "tra le mie convinzioni". È il riconoscimento di un errore passato: l'errore dell'ego, della presunzione, del rimanere intrappolati nelle proprie certezze senza aprirsi al mondo.

La poesia sottolinea la conseguenza devastante di questo atteggiamento: "perché continuando a perdermi / ho continuato a perdere tutto…". La perdita di sé stessi porta inevitabilmente alla perdita del mondo esterno: relazioni, opportunità, bellezza. È una lezione pagata a caro prezzo, che pone le basi per la necessaria crescita successiva.

Superata la fase dell'errore, inizia quella della ricostruzione. E questa si basa su una nuova forma di felicità, una felicità matura, quasi stoica. "Ho imparato ad essere felice", ma non una felicità facile o superficiale. È una felicità che sa coesistere con il dolore e la solitudine.

  • "anche quando stringo il mio cuore in un pugno": Questa immagine è incredibilmente potente. Descrive la capacità di contenere la propria sofferenza, di sopportare il dolore con forza, senza farsene distruggere. Essere felici nonostante il cuore stretto in un pugno è un segno di immensa resilienza.
  • "anche quando sono solo con me stesso": Questa è la vittoria sulla paura della solitudine. Imparare a stare bene da soli, a trovare pace e completezza nel proprio essere, è una delle conquiste più importanti dell'età adulta.

La frase "ho dovuto imparare" è cruciale. Svela che questa saggezza non è stata un dono, ma una necessità imposta dalle circostanze, una lezione forgiata nel fuoco delle difficoltà.

L'ultima strofa è il culmine del percorso, la rivelazione che dà senso a tutto il cammino. Inizia con una frase che abbraccia ogni esperienza, positiva o negativa: "e nonostante tutto ciò che accade". Non nega il dolore, la solitudine o la perdita; li include, li accetta come parte del tutto.

È proprio da questa accettazione totale che scaturisce la visione finale. "l’ amore s’ effonde / nella sconfinata grazia dell’ esistenza." Qui, l'amore non è più solo un sentimento umano rivolto a un'altra persona. Diventa una forza cosmica, un principio universale.

  • "s’effonde": Il verbo "effondere" suggerisce qualcosa di liquido, di luminoso, che si sparge e permea ogni cosa dolcemente, come un profumo o la luce dell'alba. L'amore non è un atto, ma uno stato dell'essere, una forza che si diffonde nell'universo.
  • "nella sconfinata grazia dell’ esistenza": Questa è la scoperta definitiva. Al di là del caos, del dolore e della lotta, l'esistenza possiede una sua "grazia sconfinata", una bellezza intrinseca, un ordine superiore. L'amore è il veicolo attraverso cui possiamo percepire questa grazia. È il ponte che collega il nostro cuore, a volte stretto in un pugno, all'infinità benevola dell'universo.

"La mia età", quindi, non è un numero sulla carta d'identità. È lo stato di consapevolezza raggiunto al termine di questo viaggio. È l'età in cui si impara a guardare oltre sé stessi, a trovare la forza nella fragilità e, infine, a riconoscere l'amore non solo come un'emozione, ma come il tessuto stesso di un'esistenza piena di grazia. È la pace trovata dopo la battaglia, la luce vista dopo aver camminato a lungo nel buio.

Qual è la lezione più importante che la vostra "età" vi ha insegnato? E in che modo percepite l'amore e la grazia nel vostro cammino?



~mia.

sabato 24 settembre 2022

Luna, cinguettio a me caro.

Bagnatosi il cuore
ed il petto sotto la pioggia
sta, cinguettando il motivo
d’un attimo di eterno
che nel suo pianto stabile
sta; come le radici forti 
di un albero imperturbabile
anch’egli cinguettando il motivo
d’ altronde immutabile sta,
eppure egli emigra
nel suo pianto stabile 
tra le stagioni
al cantar della bella primavera
e nell’ immenso di luce bianca
tra sette colori sta.


Poesia sulla Resilienza dell'Anima

Ci sono suoni in natura che diventano la colonna sonora della nostra anima. Un "cinguettio caro", come quello che dà il titolo a questa poesia, può essere il simbolo di una speranza che resiste, di una melodia che ci accompagna attraverso le stagioni della vita.

La mia poesia, "luna, cinguettio a me caro", è un'esplorazione di questa resistenza. Racconta la storia di un'anima – forse quella di un artista, forse quella di ognuno di noi – che affronta il dolore, lo trasforma in un canto costante e viaggia attraverso le intemperie fino a raggiungere un luogo di pace e di piena consapevolezza, illuminato dalla luce della luna.

La poesia si apre con un'immagine di totale vulnerabilità: "Bagnatosi il cuore / ed il petto sotto la pioggia". La pioggia qui è una metafora delle difficoltà, del dolore, delle prove della vita che ci bagnano fin dentro l'anima. Il soggetto della poesia non si ripara, ma "sta", accoglie questa pioggia.

E cosa fa mentre è esposto alle intemperie? "cinguettando il motivo / d’un attimo di eterno". Inizia a cantare. Questo canto è la prima, fondamentale trasformazione: il dolore (la pioggia) non produce silenzio, ma arte. Un'arte che ha il potere di rendere un "attimo" di sofferenza o di bellezza, "eterno".

La poesia definisce questo canto con un ossimoro meraviglioso: un "pianto stabile". Un pianto è per sua natura un'emozione instabile, un'esplosione di dolore. Ma qui è "stabile", "immutabile". Ciò suggerisce che il soggetto ha imparato a dominare la propria sofferenza, a trasformarla in qualcosa di costante, controllato, quasi un mantra. Non è più un grido di disperazione, ma una melodia malinconica e forte, una testimonianza di resilienza.

La seconda parte della poesia introduce un altro paradosso. La forza di questo essere è paragonata a quella delle "radici forti di un albero imperturbabile". È un'immagine di stabilità assoluta, di un radicamento profondo al proprio essere, alla propria terra, al proprio "pianto stabile". Sembra un'entità destinata a rimanere immobile.

"Eppure egli emigra". Nonostante le sue radici, viaggia. Questo è il cuore del percorso esistenziale descritto. Siamo allo stesso tempo radicati nella nostra identità, nel nostro dolore e nella nostra arte, ma siamo anche costretti a un perenne viaggio "tra le stagioni", attraverso i cambiamenti della vita.

Come è possibile viaggiare pur essendo radicati? La poesia ci dà la risposta: egli emigra "nel suo pianto stabile". Il suo canto, la sua arte, la sua essenza non sono una zavorra che lo tiene fermo, ma diventano il veicolo stesso del viaggio. È la propria identità, forgiata nel dolore, che permette di attraversare il tempo e le difficoltà senza perdersi.

Ogni viaggio ha una destinazione. Questa migrazione stagionale conduce "al cantar della bella primavera", un tempo di rinascita, di rinnovamento, di speranza. E qui avviene la trasfigurazione finale.

L'essere approda "nell’ immenso di luce bianca". Questa "luce bianca" è la Luna del titolo. È un simbolo di pace, di chiarezza, di illuminazione spirituale e di ciclicità. È la meta del lungo viaggio, un luogo di serenità quasi mistica.

E in questa luce unitaria, egli "tra sette colori sta". La luce bianca, come quella di un prisma, si scompone e rivela tutti i colori dell'arcobaleno. Questa è l'immagine della comprensione finale. Dopo aver cantato per tutto il tempo un'unica, stabile melodia nata dal dolore, l'anima scopre che quella melodia e quella luce contengono in sé tutti i colori, tutte le sfumature, tutte le possibilità dell'esistenza. Il dolore, la gioia, la malinconia, la speranza: tutto coesiste in un'unica, armonica visione.

"Luna, cinguettio a me caro" è la celebrazione della resilienza dello spirito. È la storia di come l'anima, attraverso la sua espressione più autentica (il "cinguettio"), possa assorbire il dolore (la "pioggia"), rimanere fedele a sé stessa (le "radici") e allo stesso tempo viaggiare attraverso la vita (l'"emigrare"), per giungere infine a uno stato di grazia (la "luna") in cui tutta la complessità dell'esistenza si rivela come una bellezza armonica (i "sette colori").

È un inno a quel canto interiore che, se lo ascoltiamo e lo coltiviamo, può guidarci attraverso qualsiasi tempesta, verso la nostra personale e luminosa quiete.


~mia.








sabato 17 settembre 2022

Cinque _ Desio.

Intrappolati qui
nel regresso desistere

dell’ istantaneo volere.



Istantaneo Volere

Viviamo nell'era dell'adesso. Un clic, uno swipe, un desiderio che nasce e muore nel giro di pochi istanti. Ma questa velocità, questa apparente abbondanza di scelte e soddisfazioni immediate, ci rende davvero più liberi? O ci sta, silenziosamente, costruendo una prigione intorno?

La mia poesia, un frammento quasi telegrafico intitolato "cinque_desio", è una diagnosi di questa condizione. È un'istantanea della paralisi che si nasconde dietro la frenesia del desiderio moderno.

Prima ancora di leggere i versi, il titolo ci offre una chiave di lettura. "Cinque_desio" è una combinazione insolita e affascinante.

  • "Desio": È una parola antica, letteraria. Rispetto a "desiderio", ha un sapore più profondo, quasi ancestrale. Evoca la grande poesia, il desiderio come forza motrice della storia umana.
  • "Cinque_": Il numero cinque, seguito da un "underscore" tipico del linguaggio informatico, ci proietta nel presente più assoluto. Ma a cosa si riferisce "cinque"? L'interpretazione più potente lo lega ai cinque sensi. Il "cinque desio" è il desiderio che nasce dai sensi: ciò che vedo, sento, tocco, gusto e odoro. È il desiderio primordiale, fisico, immediato.
  • Il Titolo nel suo Insieme: L'unione di un termine arcaico e un formato digitale crea un cortocircuito. Ci suggerisce che stiamo parlando di un problema eterno (il Desio) nella sua specifica manifestazione contemporanea, filtrata dai cinque sensi e amplificata dalla tecnologia.

I tre versi della poesia sono una diagnosi spietata. Il primo verso, "Intrappolati qui", stabilisce la nostra condizione. Siamo prigionieri. Il "qui" non indica un luogo fisico, ma uno stato esistenziale, un presente continuo da cui non riusciamo a fuggire.

Il secondo verso è il cuore della poesia e descrive la natura di questa prigione: "nel regresso desistere". È una frase complessa e potentissima.

  • "Desistere": Significa arrendersi, rinunciare, smettere di lottare.
  • "Regresso": Significa tornare indietro, peggiorare, involvere.

Mettendoli insieme, il "regresso desistere" non è una semplice resa passiva. È un circolo vizioso in cui ogni volta che ci arrendiamo, facciamo un passo indietro. È la condizione di chi salta da un piccolo desiderio all'altro: lo persegue per un attimo e poi "desiste" non appena un nuovo stimolo si presenta, senza aver costruito nulla di duraturo. Ogni volta che abbandoniamo un progetto a lungo termine per una gratificazione istantanea, stiamo operando un "regresso desistere". Stiamo attivamente tornando indietro.

L'ultimo verso identifica la causa di questa prigione regressiva: "dell’ istantaneo volere". È il motore di tutto il meccanismo. Questo "volere" è sia il desiderio (il capriccio, l'impulso) sia la volontà (l'atto di perseguirlo). Ma la sua caratteristica letale è l'essere "istantaneo".

È il desiderio che non conosce attesa, che rifiuta la pazienza, che esige tutto e subito. È il "volere" della società dei consumi, dello scroll infinito sui social media, del cibo consegnato in dieci minuti. Questo impulso costante ci impedisce di coltivare desideri più profondi e complessi, quelli che richiedono tempo, dedizione e sacrificio. E così, non raggiungendo mai nulla di significativo, rimaniamo intrappolati in un ciclo di piccoli desideri insoddisfacenti, desistendo e regredendo continuamente.

"Cinque_desio" è un grido d'allarme in tre versi. Ci mostra come, nella nostra corsa verso la gratificazione immediata, abbiamo smarrito la capacità di desiderare in modo profondo e paziente. La libertà di volere tutto subito si è trasformata nella prigione di non realizzare mai nulla di importante.

La poesia non offre una soluzione, ma una diagnosi lucidissima. Sta a noi, lettori, riconoscere questa trappola nella nostra vita. Sta a noi spezzare il ciclo, imparando a distinguere il "desio" profondo e nutriente dall'effimero "istantaneo volere". Sta a noi riscoprire il valore dell'attesa, della perseveranza e di una volontà che non si arrenda al primo stimolo.


~Mia.

mercoledì 13 luglio 2022

Liberi di Volare … Uno …

Diede una leggera spinta con il piede al sasso immobile ed il suo ingegno ottenne esattamente il risultato tanto atteso. Balzò giù dalla scrivania precipitandosi dalla parte opposta della stanza, allungando velocemente l’altro braccio per bloccare il pennello ormai andato appena oltre i bordi della tela bianca, evitando così di imbrattare tale armonia. Equilibrio che non avrebbe potuto realizzare di proprio pugno, ma sarebbe dovuto essere frutto di un meccanismo ben più complesso. 

Rimuginò a lungo riguardo quel tramonto assurdo, convincendosi sempre più che si trattasse di un insolito scenario. Sovrano si prodigava il sole sicuramente acceso di arancione mentre fasci di luce s’ adagiavano sulle fragili nuvole, sfumandole del loro colore prima proiettandole poi nel cielo rigorosamente azzurro. Il bianco ed il nero danzavano sul contrasto di luci ed ombre. La terra battuta scricchiolava sotto il peso della bici e di chi con costante passione ne produceva l’ impeto. Le verdi siepi abbracciavano lo sfondo verso una mite tregua. Nuvole fragili all’ apparenza, ferme nella gravità terrestre, come l’ impresa di un funambolo in bilico sulla mente concentrata. Niente sembrava poter scalfire l’ ambizione di poter raffigurare quel sentimento ardito. Certamente per Riccardo non sarebbe stato difficile avere accesso ad un episodio contemplato numerose volte, dopo anni di studi accademici. 

Giurava di aver visto una volpe zampettare in lontananza alcune ed altre volte di aver potuto ammirare la visione dei vicini contadini delle terre confinanti, chini nel loro umile lavoro soprattutto durante i mesi di semina e raccolta. 

Bisognerebbe anzitutto ammettere che in una situazione di illusoria normalità, il pittore con scandita pazienza potrebbe osare la riproduzione della naturale realtà con fedeltà meticolosa. Un poeta incalzerebbe la ritmica quiete della pragmatica relatività nell’ assolutismo di un frammento temporale. Un compositore probabilmente coglierebbe la persistenza di emozioni fortemente contrastanti in una melodia drammaticamente vivace. Oppure ogni dettaglio assumerebbe la forma di libertà, ruotando a turno per l’ io eterno di ciascun soggetto. Eppure esattamente cosa farebbe un artista ?

Non erano solo le volpi ad aggirarsi nei dintorni. Come in ogni comune zona campagnola, il paesaggio godeva del cinguettio di uccelli d’ ogni specie, l’ irriverenza di rumori provenienti dai cespugli di roditori fuggitivi; i resti appesi della pelle di serpente in tempo di muta sulle pietre appuntite dei muri a secco. Il brulicare incessante di vita della bella stagione. Lo stridio dei grilli e quello incessante delle cicale. Formiche, api, farfalle, vespe, libellule, gechi, blatte e millepiedi. Il pascolare delle pecore, le mucche ed i cavalli nei recinti. Poi gli animali delle stagioni più fredde. 

L’ ambita apertura del permesso alla caccia. Una vera e propria cultura che univa con determinante devozione vecchia e nuova generazione. Padri e figli, nonni e nipoti, zii ed amici. Fierezza e soddisfazioni, delusioni e dure lezioni da apprendere; fauna che non aveva alcuna intenzione di venire meno ai doveri del ciclo vitale. Mimetiche e fucili. Dinastie da proiettare verso il futuro. Un’ arte antica quanto la storia dell’ uomo. Scaltra ed affinata all’ istinto di sopravvivenza. Innalzata al leggio intellettuale. Non mancarono dunque all’ appello opportunità di questo genere. Giuseppe, amico di vecchia data dell’ acclamato chef, era solito invitarli nelle uscite notturne. Inutile dettagliare la spartizione della selvaggina. 

“Riusciresti ad esprimere con una sola parola quali sono i sentimenti che emergono quando pensi alla caccia?” chiese Riccardo all’ intimo quando giunse l’ alba di una battuta prosperosa. La curiosità era una forte peculiarità del giovane. “Sfarfallio” rispose l’ altro con tono grave e secco. “Fu mio padre ad insegnarmi gran parte delle cose di cui sono a conoscenza. Iniziai ad uscire con lui, le prime volte, all’ età di dodici anni” proseguì, “Il percorso della vita poi pensa a fare il restante lavoro. Ad indicarti la strada più adatta verso il miglioramento. Ovviamente prestando attenzione nel cogliere gli indizi giusti quando opportuno. Non potevo usare le armi allora, ma ricordo perfettamente l’ impazienza nell’ attendere notti come queste solo per godere della magica atmosfera che si creava” mentre i suoi occhi si tingevano di nostalgia, una smorfia di disapprovazione emerse dal viso del ragazzo, perché le stava a cuore la vita di ogni innocente. “Per quanto crudele può apparire c’è qualcosa di poetico in tutto ciò vero?” concluse con sarcasmo il veterano, assumendo questa volta una nota di piacere. 

Nonostante il circondario però , la famiglia di Riccardo era nota per la catena di ristoranti diffusi tra le diverse città europee. Il primo aperto dal padre Antonio nella terra natia di Lecce, all’ età di ventisette anni, rappresentò a tutti gli effetti il via per una faticosa strada che puntava dritta verso il successo della proficua attività. Dal talento culinario paterno probabilmente discendeva il fascino artistico che da sempre coinvolgeva ogni attimo la vita del figlio. La sera del tramonto eteroclito, l’ erede sostò abbondantemente lungo il viottolo di casa. A poche decine di metri dalle luci perimetrali di una dimora semplice da delineare. Un’ accuratezza impeccabile nell’ aspetto esteriore quando tutt’attorno aleggiava eterea l’ idolatria aurea. “Stupore” pensò. Stupore, stupore, meraviglioso stupore. L’ amore circense colmo di acrobazie nel suo nobile cuore. Perché furono stravaganti le emozioni che lo impregnarono. E variegato l’ arcobaleno di pensieri che imbrattarono la fantasia. 

Giunta la sera come da rituale, dopo aver cenato e messo in ordine la cucina, si sdraiò sul lettone per scaricarsi di tutto quello che durante la giornata fosse stato degno di memoria, appuntandone i contenuti con scrupolosità. Riteneva necessario tenere traccia di ogni piccolo dettaglio. Perché anche se primordiale è l’ amore che spesso trasfigura la realtà, muta costantemente la sua consapevolezza. Riteneva perlopiù necessario non alimentare il bisogno di giudicare gli elementi giusti o sbagliati a posteriori. Niente che valesse la pena dare per scontato. 

Un paio di cuffie e tanta musica. Incanalandosi verso il centro dei suoi pensieri, varcando l’ arco oltre gli strati superficiali del materialismo dalla dissolvenza più lieve, cercando di aprire così l’ infinito spazio della conoscenza. Con chiarezza ancora una volta andrebbe specificato che a costituire la base del tessuto sociale è la mente pensante. Resterebbe ad una lama affilatissima con tutta la sua pericolosità la responsabilità di tagliare in due parti ben distinte la verità ed il potere.

Impiegò i giorni a seguire per studiare il marchingegno nei minimi dettagli. Dopo aver fissato due ganci al soffitto, distanti tra loro tre passi d’ uomo, incastonò centrale una barra in acciaio di quattro metri. Posando una pietra, del peso tale da riuscire a sostenere il gioco, al bordo della scrivania affollata delle sue facoltà, la legò con la prima estremità di una corda dallo spessore di due centimetri. Ben tesa la passò da un lato del tubolare, facendo appena mezzo giro, per poi proseguire perpendicolarmente quasi a toccare il pavimento. Il secondo nodo teneva ben salda la cima di un manico di legno. Rigida stavolta la diagonale del faggio che ricongiunse la terra ed il cielo. 


~Mia.




sabato 2 luglio 2022

Leggero

Sull’ uscio d’ una camera 
oberata di ricordi
al tramontar d’ una giornata 
discola da quitare
dove
infida si sorseggia la gravità.



Peso dei Ricordi e la Fragilità della Quiete

"Leggero". È una parola che tutti desideriamo associare al nostro stato d'animo, specialmente alla fine di una giornata difficile. Eppure, raggiungere la leggerezza è spesso un'impresa tutt'altro che lieve. A volte, è un equilibrio precario, un'arte sottile che si pratica in silenzio, sull'uscio della nostra anima.

La mia poesia, intitolata ironicamente "leggero", cerca di catturare proprio questo momento di tensione: l'istante in cui si tenta di gestire il peso dell'esistenza con la delicatezza di un gesto, sapendo che la quiete conquistata è fragile e, forse, ingannevole.

"Sull'Uscio": Lo Spazio Liminale dell'Anima

La poesia ci colloca immediatamente in uno spazio liminale, uno spazio di mezzo: "Sull'uscio d’ una camera". La soglia è un luogo potente. Non si è né dentro né fuori. È il punto dell'esitazione, della riflessione, della scelta.

  • Dentro, c'è una "camera oberata di ricordi". La parola "oberata" è fondamentale: significa sovraccarica, appesantita. La stanza non è un rifugio, ma un archivio del passato, un luogo che porta un peso. Entrare significherebbe immergersi completamente in quel peso.
  • Fuori, c'è il "tramontar d’ una giornata discola da quitare". Il giorno che finisce non è stato sereno, ma "discolo": ribelle, difficile, indisciplinato. Il tramonto è il momento in cui si cerca di "quitare" questa giornata, di saldare i conti con la sua fatica, di placarla.

Il poeta si trova quindi in un doppio limbo: tra il giorno e la notte, e tra il mondo esterno e il proprio mondo interiore carico di memoria. È un momento di transizione perfetto per la riflessione che sta per compiersi.

Il Gesto Centrale: "Infida si sorseggia la gravità"

L'ultimo verso è il cuore pulsante della poesia, un'immagine di straordinaria forza e complessità. In questo luogo e in questo momento, "infida si sorseggia la gravità."

Analizziamo questo gesto apparentemente impossibile:

  • "La gravità": È il peso. Il peso della giornata "discola", il peso della camera "oberata di ricordi". È la serietà della vita, la somma delle nostre fatiche e delle nostre nostalgie. È una forza che dovrebbe schiacciarci.
  • "si sorseggia": A questa forza opprimente, il poeta non reagisce con violenza né con rassegnazione. Reagisce con un gesto delicato, quasi da degustatore. "Sorseggiare" la gravità è un tentativo di assumerla in piccole dosi, di gestirla, di non farsene travolgere. È l'atto di chi cerca di mantenere il controllo, di affrontare il proprio carico emotivo con una studiata lentezza.
  • "infida": Questo avverbio è la chiave che svela la vera natura della situazione. Perché questo sorseggiare è "infido", "traditore", "ingannevole"?
    1. È un auto-inganno: L'atto di sorseggiare la gravità è un tentativo di sentirsi "leggeri", ma è una leggerezza fittizia. È una performance. Si finge di poter gestire con eleganza un peso che in realtà è immenso. È un tradimento verso sé stessi, perché si maschera lo sforzo con un gesto apparentemente lieve.
    2. La gravità stessa è infida: Il dolore e il peso dei ricordi sono traditori. Ti illudono che tu possa gestirli a piccoli sorsi, ma sono sempre pronti a travolgerti, a trascinarti a fondo se solo perdi la concentrazione.

La Tensione del Titolo: La Fatica di Essere "Leggero"

E così, torniamo al titolo. "Leggero" non è la descrizione dello stato d'animo del poeta, ma la sua aspirazione, o forse la sua maschera. La poesia non parla di leggerezza, ma dello sforzo immane e precario che si fa per essere leggeri.

La vera protagonista è la "gravità". Il titolo "leggero" è l'etichetta ironica che diamo a quel nostro fragile equilibrio, a quella quiete conquistata a fatica che sappiamo essere costantemente minacciata. È la leggerezza di un funambolo che cammina su un filo sospeso sul baratro dei propri ricordi e delle proprie fatiche.

Un Equilibrio Precario

"Leggero" è il ritratto di un momento universale. È il silenzio che cala alla fine di una brutta giornata, quando ci troviamo a fare i conti con noi stessi. È la descrizione di un meccanismo di difesa psicologico: affrontare il peso della vita non negandolo, ma parcellizzandolo, sorseggiandolo con una cautela che sappiamo essere, in fondo, infida.

È una poesia che ci insegna che la pace, a volte, non è uno stato permanente, ma un delicato e continuo atto di equilibrio.

Vi siete mai trovati "sull'uscio", a fine giornata, a "sorseggiare" una gravità personale? E in cosa trovate la forza per non essere sopraffatti dal peso dei ricordi?


~Mia.

venerdì 10 giugno 2022

Il potere dei fiori


Non dovresti nemmeno esistere
e per fortuna esisti
Fanciullo.

~mia.


Nel buio insondabile della derisione, la determinazione emerge come una luce fievole ma inarrestabile. Attraverso il labirinto delle critiche grottesche, la volontà si intreccia con la speranza di una risoluzione pacifica. Laddove il giudizio disprezzante cerca di gettare ombre, la forza interiore si erge come un faro, guidando verso la serenità e la comprensione. In questo intricato balletto tra oscuro sarcasmo e risoluzione, la determinazione si rivela l'arma segreta per trasformare la derisione in un dialogo costruttivo, forgiando così un cammino verso una soluzione illuminante.

La Luce della Determinazione: Trasformare la Derisione in Dialogo

Questo è il paradosso e la sfida di chi si trova a navigare le acque agitate del giudizio altrui. Ma come si compie questo viaggio? Come si alimenta quella luce fievole fino a farla diventare un faro?

Il Buio Insondabile: Anatomia della Derisione

La derisione non è una semplice critica; è un'arma progettata per diminuire, per isolare. Il suo buio è "insondabile" perché non si basa sulla logica, ma su un'emozione distruttiva. Le "critiche grottesche" sono come specchi deformanti che ci vengono posti di fronte: il loro scopo non è mostrare una verità, ma distorcere la nostra immagine fino a renderci irriconoscibili a noi stessi, seminando il seme del dubbio sul nostro valore.

Il "giudizio disprezzante" agisce come un veleno lento. Cerca di spegnere il nostro entusiasmo, di raffreddare le nostre passioni, di farci credere che i nostri sforzi siano inutili o ridicoli. È un labirinto costruito con muri di sarcasmo e un soffitto di sufficienza, progettato per farci perdere l'orientamento e, infine, la speranza. Chi deride non cerca un confronto, ma una resa.

La Luce Fievole: Le Sorgenti della Forza Interiore

Eppure, anche nel buio più fitto, qualcosa resiste. La determinazione nasce come una scintilla quasi impercettibile. Non è arroganza, né la pretesa di avere ragione. È, più umilmente, la decisione di non lasciarsi definire da voci esterne. È il sussurro interiore che dice: "Io so chi sono, al di là di come tu mi vedi".

Questa determinazione si nutre di due alleate fondamentali: la volontà e la speranza. La volontà è il motore, è l'atto di mettere un piede davanti all'altro anche quando il sentiero nel labirinto non è chiaro. È la scelta di continuare a credere nel proprio progetto, nella propria visione. La speranza, invece, è il carburante. È la fiducia che esista una via d'uscita, una "risoluzione pacifica", un luogo di "serenità e comprensione" al di là dei muri del sarcasmo.

Insieme, queste forze interiori si ergono come un faro. Un faro non dissolve la tempesta, non calma le onde del giudizio, ma offre un punto fermo. È una luce che dice: "La direzione è questa. Non guardare le onde che minacciano di travolgerti, guarda me. Mantieni la rotta".

L'Intricato Balletto: La Strategia della Trasformazione

Affrontare la derisione non è una battaglia campale, ma un "intricato balletto". Richiede grazia, equilibrio e una forza che non si manifesta con la violenza, ma con la persistenza. La determinazione diventa qui "l'arma segreta", perché agisce in modo inaspettato. L'aggressore si aspetta una reazione simmetrica – rabbia, difesa, contrattacco – o una resa. Non si aspetta la calma.

Trasformare la derisione in un "dialogo costruttivo" è la mossa più sofisticata di questo balletto. Significa:

  1. Depersonalizzare: Riconoscere che la critica grottesca dice più di chi la esprime che di chi la riceve.
  2. Cercare il non detto: A volte, dietro al sarcasmo si nasconde una paura, un'incomprensione o una critica legittima espressa nel modo sbagliato. La forza interiore permette di filtrare il veleno per cercare un eventuale, minuscolo, granello di verità.
  3. Offrire un ponte: Invece di erigere un muro, si può aprire una porta. Una domanda calma come "Cosa ti porta a pensarla così?" o "Capisco il tuo punto di vista, ma permettimi di spiegarti il mio" può spiazzare l'interlocutore e cambiare completamente le regole del gioco.

Questo non significa essere ingenui o subire passivamente. Significa essere padroni della situazione, guidando la dinamica invece di esserne vittime.

Forgiare una Soluzione Illuminante

Il fine ultimo di questo percorso non è necessariamente convincere l'altro, ma raggiungere una "soluzione illuminante"per sé stessi. L'illuminazione consiste nella profonda comprensione che la nostra serenità non dipende dall'approvazione esterna.

Il dialogo può avere successo e portare a una comprensione reciproca. Altre volte, può semplicemente confermare la distanza tra le posizioni. Ma in entrambi i casi, la vittoria è già avvenuta. La vittoria è nell'aver attraversato il labirinto senza perdersi, nell'aver mantenuto la propria luce accesa nel buio, nell'aver trasformato un potenziale veleno in un'opportunità di crescita.

Forgiare una soluzione illuminante significa, in ultima analisi, raggiungere quella pace interiore che deriva dalla certezza del proprio valore, una certezza che nessuna ombra di disprezzo potrà mai più oscurare.

giovedì 26 maggio 2022

Tramonto





Resiliente.

È una parola che indossiamo come un'armatura, un aggettivo che evoca immagini di fortezze inespugnabili, di querce secolari che sfidano le tempeste. Ma questa è una visione incompleta, forse persino ingannevole. La vera resilienza non ha il volto rigido della roccia che non si scheggia mai; ha la flessibilità elegante e tenace della canna che si piega al vento, ma non si spezza.

L'origine della parola ci svela il suo segreto. Viene dal latino resilire, che non significa "resistere", ma "saltare indietro", "rimbalzare". La resilienza non è l'arte di non cadere, ma la pratica di rialzarsi. Non è la capacità di non essere feriti, ma la volontà di integrare le proprie ferite in una forma nuova, spesso più forte e consapevole di prima.

Non Siamo Querce, Siamo Canne al Vento

Per molto tempo abbiamo confuso la resilienza con l'invulnerabilità. Abbiamo ammirato la quercia per la sua apparente forza, per il suo tronco massiccio che si oppone con orgoglio alla furia del temporale. Ma la fisica e la vita ci insegnano la stessa lezione: una forza troppo rigida, sottoposta a una pressione sufficiente, non si piega. Si frantuma. La sua forza è anche la sua più grande debolezza.

L'anima resiliente, invece, assomiglia più a una canna, a un bambù. Non sfida la tempesta, ma danza con essa. Accoglie la forza del vento, si piega fino a toccare terra, permette alla pioggia del dolore di bagnarla completamente. Sembra sconfitta, arresa. Ma quando la tempesta passa, la canna, con una lentezza quasi impercettibile, si raddrizza. Non è identica a prima – forse è un po' più curva, un po' più segnata – ma è ancora lì, viva e intera. Ha capito che la vera forza non sta nell'opposizione, ma nell'adattamento.

Ubuntu (Filosofie Africane): La Forza della Comunità

In molte culture africane, la resilienza non è vista primariamente come una virtù individuale, ma come una forza collettiva.

  • Il Concetto: La filosofia di Ubuntu, riassumibile nella frase "Io sono perché noi siamo", è centrale. L'identità e il benessere dell'individuo sono inestricabilmente legati a quelli della comunità. Quando un individuo affronta una difficoltà, il peso non è solo suo, ma è condiviso e alleggerito dal gruppo. La resilienza è una rete di sicurezza sociale ed emotiva.
  • Il Proverbio: Un proverbio africano dice: "Un braccialetto da solo non tintinna". Significa che un individuo isolato ha poco impatto e poca forza, ma insieme, la comunità crea musica, sostegno e resilienza.

La Resilienza è un Verbo, non un Aggettivo

Infine, la resilienza non è una caratteristica statica che si possiede o non si possiede. È un processo attivo. È un verbo. È il praticare il ritorno.

È la scelta quotidiana di alzarsi dal letto quando il lutto sembra insopportabile. È il coraggio di riprovare dopo un fallimento. È la decisione di perdonare, non necessariamente per assolvere l'altro, ma per liberare sé stessi dal peso del rancore. È la capacità di trovare un significato anche nell'assurdità della sofferenza, di trasformare un "perché è successo a me?" in un "cosa posso imparare da questo?".

Essere resilienti è un dialogo continuo con l'avversità. È l'umiltà di chiedere aiuto, la pazienza di attendere che il tempo faccia il suo corso e la fede incrollabile nella capacità della vita di rigenerarsi, proprio come un bosco dopo un incendio, dove dal nero della cenere spuntano i primi, timidi, ma inarrestabili germogli verdi.

La resilienza è, in fondo, l'eleganza silenziosa di chi ha conosciuto il fondo, ma ha scelto di "saltare indietro", portando con sé la profonda, luminosa e dorata saggezza delle proprie ferite.

 

~mia.

Random 3

Siamo Davvero Liberi di Scegliere o è Già Tutto Scritto nel Nostro Cervello? Ciao a tutti, appassionati della mente e curiosi dell'unive...