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Termini e Condizioni

mercoledì 6 settembre 2023

Fermi

Arrabatto per riuscire a tenermi qualcosa
in un tempo che spiazza anche se già non ci sei più
ti osservo andare via
e mi chiedo perché scavarsi affondo
al punto di non realizzare il solco ormai creato
se dopotutto male non c’ era,
ridicola percezione.
La guerra è signora come la morte
in effetti ieri è stata una difficile giornata
lavoravo sul male 
tentando di non distruggere ho dipinto un quadro,
e tu sei parte spensierata della mia vita
tra i ricordi più belli che ho
i tuoi occhi fermi.



Rifugio dal Dolore

Ci sono momenti nella vita in cui il tempo si deforma. Un'assenza può diventare così presente da disorientare ogni gesto, ogni pensiero. È da questo spazio sospeso, da questo "tempo che spiazza", che nasce la mia poesia "Fermi". È un testo che parla di perdita, di una battaglia interiore, ma soprattutto del ruolo vitale che l'arte assume quando si cerca di non andare in pezzi.

La Battaglia Interiore e la Percezione del Dolore

La poesia si apre con un verbo fisico, quasi disperato: "Arrabatto". È lo sforzo di chi annaspa, di chi cerca un appiglio nel caos di un'assenza. La persona a cui ci si rivolge non c'è più, eppure la sua dipartita è un evento continuo ("ti osservo andare via"). Questo introduce uno dei temi centrali: la difficile elaborazione del lutto.

Il testo esplora poi il labirinto mentale del dolore: il chiedersi "perché scavarsi affondo", il non riconoscere la profondità della propria ferita ("il solco ormai creato"). La frase "se dopotutto male non c’era, ridicola percezione" è un pugno nello stomaco. Racconta di come, a volte, la nostra stessa mente tenti di sminuire il nostro dolore, di giudicarlo sproporzionato, ridicolo. Ma il dolore non risponde alla logica, e questa lotta interiore è una vera e propria guerra.

L'Arte come Terapia: "Tentando di non Distruggere ho Dipinto un Quadro"

"La guerra è signora come la morte". Con questo verso, il sentimento personale viene elevato a una condizione universale. La sofferenza interiore è totalizzante, assoluta. E in questa guerra, l'energia distruttiva deve trovare una via d'uscita.

Qui si manifesta il potere dell'arte come terapia. La frase "lavoravo sul male / tentando di non distruggere ho dipinto un quadro" è il cuore pulsante della poesia. È una dichiarazione potentissima. L'atto del dipingere non è un semplice passatempo, ma un'alternativa consapevole all'autodistruzione. È un modo per prendere "il male", quell'energia nera e caotica, e incanalarla in qualcosa di costruttivo. La tela diventa il campo di battaglia dove la guerra può essere combattuta senza annientare chi la vive. È la trasformazione alchemica del dolore in bellezza, della distruzione in creazione. Questo processo mostra come la pittura e le emozioni siano legate in un dialogo vitale e necessario.

L'Ancora della Memoria: "I Tuoi Occhi Fermi"

Dopo la tempesta della guerra interiore e la catarsi della pittura, il tono della poesia cambia. Si apre uno squarcio di luce serena. L'assenza, prima così dolorosa, si trasforma in un ricordo prezioso: "e tu sei parte spensierata della mia vita / tra i ricordi più belli che ho".

E qui, finalmente, si svela il significato della poesia e del suo titolo, "Fermi". In tutto questo caos, in questo arrabattarsi, l'unico punto fermo, l'unica cosa a cui aggrapparsi, è un'immagine: "i tuoi occhi fermi". Quello sguardo rappresenta la stabilità, la pace, un amore che non vacilla neanche nel ricordo. È l'àncora che permette alla nave di non andare alla deriva. Nonostante il "tempo che spiazza", quel ricordo è immobile, saldo. È il "qualcosa" che il poeta, all'inizio, si sforzava di tenersi.


~Mia.

martedì 5 settembre 2023

Guerra

 
Guerra, Arte e Conflitto, Pittura Astratta, Analisi Opera, Simbolismo, Arte e Psicologia, Pittura Espressionista, Catarsi, Artista Emergente, Blog d'Arte



Conflitto Interiore ed Esteriore

Ci sono opere che nascono per accarezzare l'anima e altre che nascono per scuoterla. Il mio quadro "Guerra" appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Non è un'opera facile, né vuole esserlo. È un'esplosione di materia e colore che cerca di dare una forma a una delle esperienze umane più devastanti: il conflitto. In questa analisi del quadro, voglio guidarvi attraverso il suo simbolismo, esplorando come una tela possa diventare il campo di battaglia sia del mondo esterno che della nostra interiorità.

L'impatto visivo è immediato e violento. L'opera è dominata da un rosso profondo, stratificato, che evoca sangue, rabbia, fuoco. Non è un colore piatto, ma un vortice di sfumature che crea uno sfondo caotico e instabile. Su questo palcoscenico di pura emozione, si stagliano pochi, ma potentissimi, elementi simbolici.

Anatomia di un Conflitto: L'Analisi dei Simboli

Per comprendere appieno il significato di questa pittura astratta, dobbiamo scomporla nei suoi elementi chiave, come un generale che analizza una mappa strategica.

  1. La Cicatrice Bianca: Una linea diagonale, spessa e materica, taglia la tela in due. Non è una linea pulita; è una ferita, una cicatrice. La sua consistenza ruvida e quasi gessosa la fa sembrare una trincea scavata nella terra, un muro che divide due fazioni, o la scia accecante di un'esplosione. Rappresenta una divisione netta, un punto di non ritorno, una ferita che segna permanentemente il paesaggio (interiore o esteriore).

  2. Il Bersaglio Nero: Nell'angolo in alto a destra, un cerchio e una "X" nera formano un bersaglio inequivocabile. È il simbolo più freddo e deliberato del quadro. Rappresenta l'intenzionalità della violenza, la disumanizzazione del nemico ridotto a un semplice target. Quel cerchio potrebbe essere un mondo, un'idea, una persona, una parte di noi stessi, "cancellata" dalla croce della negazione e dell'attacco.

  3. Le Lacrime Blu: In netto contrasto cromatico con il rosso dominante, alcune macchie di un blu intenso appaiono come schizzi, quasi come proiettili di un colore inaspettato. Questo è il simbolismo del colore nella sua forma più potente. Se il rosso è la rabbia calda della battaglia, il blu è il dolore freddo e profondo che ne consegue. Sono le lacrime, i lividi, il trauma. Sono il costo emotivo del conflitto, la tristezza che emerge anche nel mezzo della furia.

La Guerra Interiore: Quando la Battaglia è Dentro di Noi

Se spostiamo l'interpretazione dal piano letterale a quello psicologico, "Guerra" diventa una mappa del nostro conflitto interiore. L'arte e la psicologia si fondono. Il campo di battaglia non è più all'esterno, ma dentro di noi.

  • Il rosso è la rabbia, l'ansia, la lotta contro i nostri demoni.
  • La cicatrice bianca è il trauma, la ferita psicologica che ci divide, che crea un "prima" e un "dopo".
  • Il bersaglio nero può rappresentare l'autocritica feroce, l'auto-sabotaggio, quella parte di noi che prende di mira e cerca di annientare la nostra stessa felicità o autostima.
  • E le lacrime blu sono i momenti di disperazione, gli attacchi di panico o di tristezza che ci colgono alla sprovvista durante la nostra guerra personale.

Il Processo Creativo: Dipingere per non Soccombere

Creare "Guerra" è stato un atto di catarsi. Come ho scritto nella mia poesia "Fermi", a volte si dipinge "tentando di non distruggere". Questo quadro ne è la prova più diretta. La stesura del rosso è stata violenta, quasi una lotta con la tela. La cicatrice bianca è stata un gesto di rottura, un solco scavato con forza. Il bersaglio nero è stato l'ultimo atto di una condanna. Infine, le macchie di blu sono state gettate sulla tela con un gesto di resa, quasi di sfinimento.

L'arte come catarsi permette di espellere queste emozioni distruttive, di dar loro una forma e uno spazio al di fuori di noi, per poterle finalmente guardare in faccia senza esserne sopraffatti.


-Mia.

martedì 29 agosto 2023

Ti Voglio Bene

Ti volti,
oltre la vetrina 
inventi qualcos’ altro
mentre il mondo si veste
ed io torno a me.



Distanza e il Ritorno a Sé

"Ti voglio bene" è una delle frasi più calde e intime della nostra lingua. La associamo alla vicinanza, all'affetto, a un legame che unisce. Ma cosa succede quando questo sentimento profondo viene esplorato non in un abbraccio, ma in un momento di silenziosa distanza? La mia poesia "ti voglio bene" nasce proprio da questa domanda, dal tentativo di catturare una forma d'amore più sottile e forse più complessa.

In soli cinque versi, si dipana una scena che è al tempo stesso un gesto quotidiano e un profondo evento emotivo. Analizziamola passo dopo passo.

Il Gesto della Separazione: "Ti volti, oltre la vetrina"

Il primo verso è un'azione semplice e definitiva: "Ti volti". È la rottura di uno sguardo condiviso, l'inizio di una divergenza. La seconda riga, "oltre la vetrina", aggiunge una complessità straordinaria. La "vetrina" è un simbolo potente. È una barriera trasparente: separa un "dentro" da un "fuori", uno spazio privato da uno pubblico. È anche una superficie che riflette.

La persona a cui ci si rivolge non si limita a guardare la vetrina (il superficiale, il riflesso), ma guarda "oltre". Sta cercando, o forse già vedendo, qualcosa che si trova al di là del presente condiviso con il poeta. Questo gesto segna l'inizio di un allontanamento non solo fisico, ma anche mentale ed esistenziale.

La Creazione di un Altrove: "Inventi qualcos'altro"

Questo è forse il verso più potente della poesia. L'altra persona non sta semplicemente "facendo" o "guardando" qualcos'altro. Sta "inventando". Il verbo "inventare" implica un atto creativo, una scelta consapevole, la costruzione di una nuova narrazione, di una nuova realtà.

Non c'è giudizio in questa osservazione. C'è la presa di coscienza che l'altro sta attivamente costruendo un percorso, un mondo, che non include più, o non più allo stesso modo, il poeta. È il riconoscimento dell'individualità e della libertà altrui, anche quando questa libertà crea una distanza emotiva.

Il Contesto e la Risoluzione: "Mentre il mondo si veste ed io torno a me"

Gli ultimi due versi forniscono la cornice e la conclusione emotiva. "Mentre il mondo si veste" è un'immagine meravigliosa. Suggerisce il mattino, l'inizio della giornata, la vita che continua con la sua routine indifferente. Il mondo va avanti, la gente esce, le attività riprendono. Questo contrasto tra il macrocosmo della vita pubblica e il microcosmo di questo silenzioso addio ne amplifica l'intimità e la delicatezza.

E poi, la risoluzione del poeta: "ed io torno a me". Di fronte all'altro che "inventa" il suo mondo, il poeta non si aggrappa, non supplica, non si arrabbia. Compie un movimento speculare e contrario: un ritorno. Un ritorno a se stessi. È un atto di profonda crescita personale. Nel momento in cui si accetta pienamente la libertà dell'altro di andare per la sua strada, si è quasi costretti a ritrovare il proprio centro, la propria individualità non più definita dalla relazione.

Il titolo, "ti voglio bene", a questo punto, assume il suo significato più puro. Non è un "ti voglio" possessivo. È un "voglio il tuo bene" così autentico da accettare la distanza, la separazione, e da trovare in questo atto di amore maturo la forza per riscoprire sé stessi. È la dimostrazione che a volte amare significa lasciare andare



~Mia.

domenica 27 agosto 2023

Mitra

Mitra, Action Painting, Pittura Astratta, Analisi Opera, Arte e Violenza, Caos, Pittura Gestuale, Jackson Pollock, Arte Contemporanea, Blog d'Arte



Esplosione tra Action Painting e Guerra Interiore

L'arte ha il dovere di esplorare ogni angolo dell'esperienza umana, anche quelli più scomodi, violenti e caotici. La mia opera "Mitra" nasce da questa urgenza: dare una forma visibile all'energia dirompente, alla raffica, all'impatto. Il titolo è una dichiarazione d'intenti, una chiave di lettura che trasforma una tela di pittura astratta gestuale in un campo di battaglia. In questa analisi del quadro, vi invito a seguirmi nel decifrare la grammatica di questo caos controllato.

A prima vista, l'opera è un'esplosione di colore che ricorda lo stile dell'Action Painting di Jackson Pollock. La tela non è semplicemente dipinta, ma è diventata il ricettacolo di un'azione fisica: il colore è stato lanciato, gocciolato, schizzato. C'è un senso di immediatezza, di velocità, di un evento catturato nel suo momento culminante. Ma è il titolo, "Mitra", a guidare la nostra interpretazione oltre la pura estetica.

La Balistica del Colore: La Tela come Campo di Battaglia

La prima, più letterale, interpretazione vede l'opera come la rappresentazione di un conflitto a fuoco.

  • Le Traiettorie: Le linee nere e sottili che attraversano la tela sono le traiettorie impazzite dei proiettili. Non seguono una logica, ma creano un reticolo di violenza che non lascia scampo.
  • Gli Impatti: Ogni schizzo di colore (rosso, giallo, blu, nero) è un impatto. Il rosso è il sangue, il giallo il lampo dell'esplosione, il blu forse il freddo metallo delle armi o un livido, il nero il fumo e la distruzione. La tela è crivellata di colpi, testimone silenziosa di una violenza inaudita.
  • L'Epicentro: Al centro-destra, una massa densa e scura di colore rappreso, prevalentemente rosso e nero, spicca sul resto. È il punto di impatto principale, la ferita più grave, il cuore dell'esplosione. La sua consistenza materica, quasi un grumo di vernice solida, gli conferisce un peso e una drammaticità unici. È il centro di gravità della violenza del quadro.

La "Mitra" Metaforica: Raffiche di Emozioni e Parole

Ma la guerra non è sempre combattuta con le armi. L'arte e la psicologia ci insegnano che le battaglie più feroci sono spesso quelle interiori. "Mitra" diventa allora la metafora di altre forme di raffica.

  • Una Raffica di Parole: Il quadro può rappresentare la violenza di un litigio, una discussione feroce dove le parole diventano proiettili, ferendo e lasciando segni indelebili. Ogni schizzo è un'accusa, un'offesa, un urlo.
  • Una Raffica di Emozioni: "Mitra" può essere la perfetta visualizzazione di un attacco di panico o di un'ansia travolgente. Il caos interiore prende il sopravvento, i pensieri si accavallano veloci e incontrollabili come una sventagliata di mitra, lasciando la mente crivellata e sfinita. È la rappresentazione dell'essere sopraffatti.

Creazione Esplosiva: L'Artista come "Mitra"

Esiste una terza via interpretativa, che vede l'artista non come vittima della raffica, ma come la fonte stessa. In quest'ottica, l'atto creativo diventa un'esplosione. L'artista non dipinge con calma e riflessione, ma "spara" il colore sulla tela in un impeto di creazione esplosiva.

Il gesto diventa una liberazione, una catarsi. L'energia accumulata viene rilasciata in modo potente e quasi violento, ma per dare vita a qualcosa di nuovo. L'artista è la "mitra", la vernice è la munizione, e la tela è il mondo che viene creato da questa forza primordiale.

In definitiva, "Mitra" è un'opera polisemica che vive della tensione tra distruzione e creazione. Racconta di come la stessa energia possa ferire o dare vita, di come il caos possa essere terrificante o, se incanalato, incredibilmente generativo.


~Mia.

venerdì 11 agosto 2023

Empio

Lei ricorrente 
una scogliera
tumulti scostanti
improvvisi irriverenti
giorni riparatori
di gracile agonia.



Sacralità Profana del Dolore

Nella mia ricerca artistica, sono affascinato dalle parole che possiedono una dualità, un'ombra. "Empio" è una di queste. Evoca la profanazione, la violazione di qualcosa di sacro. Ho scelto questo titolo, quasi come una provocazione, per una poesia che parla di un'emozione ricorrente, di un tumulto interiore e di una strana, fragile guarigione. È un tentativo di esplorare la natura quasi sacrilega di un dolore che diventa un'abitudine.

A prima vista, la poesia descrive una forza della natura, una scogliera battuta da tumulti. Ma chi è "Lei"? E perché la sua presenza è "empia"?

"Lei": Una Presenza Immobile e Ricorrente

Il primo verso introduce subito il soggetto: "Lei ricorrente". Potrebbe essere una persona, un ricordo, un'emozione, forse la malinconia o l'ansia. Il fatto che sia "ricorrente" ci dice che non è un evento isolato, ma una presenza costante, un ciclo.

Il secondo verso la definisce con un'immagine potentissima: "una scogliera". "Lei" non è un'onda passeggera, ma qualcosa di solido, di antico, di immutabile. È una presenza massiccia contro cui si infrangono i "tumulti". La scogliera è sia ciò che subisce l'impatto, sia ciò che resiste, impassibile. Questa immagine suggerisce una forza stoica, ma anche una condanna all'immobilità di fronte al caos.

La Natura del Tumulto: "Scostanti, Improvvisi, Irriverenti"

Se "Lei" è la scogliera, i "tumulti" sono le onde del mare, o più metaforicamente, le crisi emotive che la colpiscono. La loro descrizione è precisa e tagliente. Sono "scostanti", ovvero incostanti, imprevedibili. Sono "improvvisi", arrivano senza preavviso. E soprattutto, sono "irriverenti".

Quest'ultimo aggettivo è fondamentale. L'irriverenza implica una mancanza di rispetto per l'ordine, per la pace, per la sacralità. Questi tumulti non hanno riguardo per la quiete della scogliera, la invadono senza permesso, in modo quasi blasfemo. Ecco che iniziamo a capire il legame con il titolo "Empio". Il caos che profana la quiete.

La Guarigione Paradossale: "Giorni Riparatori di Gracile Agonia"

Gli ultimi due versi sono i più complessi e struggenti, un vero e proprio ossimoro che racchiude il significato della poesia. Dopo la tempesta dei tumulti, arrivano i "giorni riparatori". C'è un tentativo di guarigione, di ricostruzione. Ma come avviene questa riparazione? Attraverso una "gracile agonia".

La guarigione non è una gioia solare, non è una liberazione. È un processo lento, fragile ("gracile"), e doloroso ("agonia"). È un paradosso potentissimo: si guarisce rimanendo in uno stato di sofferenza. L'agonia stessa diventa il materiale con cui si "ripara" il danno. Ci si abitua a un dolore di bassa intensità, lo si accetta come condizione per la sopravvivenza.

È questa normalizzazione del dolore, questa accettazione di un'agonia "riparatrice", a essere "empia". È la profanazione dell'idea stessa di felicità e benessere. Si profana la speranza di una guarigione completa, accontentandosi di una sopravvivenza dolente. L'elaborazione del dolore diventa un limbo perpetuo.

"Empio", quindi, non è il tumulto in sé, ma la rassegnazione a una vita dove la quiete è solo una "gracile agonia". È un'opera che esplora la complessa psicologia della resilienza, mostrando come a volte, per non spezzarci, siamo costretti a profanare la nostra stessa idea di felicità.


~Mia.

giovedì 10 agosto 2023

Liberi di Volare … Due …

Liberi di Volare, Libertà, Gabbia, Escapologia, Analisi Opera, Arte Concettuale, Simbolismo, Arte e Psicologia, Superare i Limiti, Blog d'Arte



Evasione

Cosa significa essere liberi? E cosa resta dopo una lotta per conquistare la propria libertà? La mia opera "Liberi di volare" nasce da queste domande, ma soprattutto dall'ispirazione proveniente dal mondo dell'escapologia, l'arte della fuga resa celebre da maestri come Houdini. In questa analisi del quadro, vi invito a guardare questa gabbia vuota non come un simbolo di prigionia, ma come il palcoscenico di una trionfale evasione.

A prima vista, l'opera presenta un paradosso: un titolo che parla di volo e un'immagine che raffigura una gabbia. Ma è proprio in questo contrasto che risiede la sua forza. La protagonista non è la creatura che è fuggita, ma la gabbia stessa, testimone silenziosa di una prigionia passata e, soprattutto, di una libertà conquistata.

L'opera è divisa visivamente e concettualmente in due parti.

  1. La Gabbia: È dipinta con colori scuri, terrosi. Marroni, neri e rossi che evocano il peso, la ruggine, la durezza della materia. La sua struttura è solida, le sbarre sono fitte e irregolari, suggerendo un confinamento lungo e opprimente. La base, quasi un cesto intrecciato di oscurità, rappresenta le fondamenta di questa prigione, ciò che teneva ancorati a terra. È il simbolo di tutto ciò che ci limita: una situazione, una relazione, una paura, o le nostre stesse barriere mentali.

  2. Lo Sfondo: Dietro e attraverso le sbarre, il mondo esplode in un caos vibrante di colori. È una raffica di pennellate astratte – blu, bianchi, rossi – che rappresentano la vita stessa. Non è un cielo sereno e pacifico quello che attende fuori, ma il flusso frenetico, imprevedibile e meraviglioso dell'esistenza. Questa non è la libertà della quiete, ma la libertà di partecipare al caos, di tuffarsi nel "rumore" del mondo.

L'ispirazione a un'"azione escapologica" è fondamentale per comprendere l'opera. Non stiamo parlando di una porticina lasciata aperta per caso. Stiamo parlando di uno sforzo deliberato, di un atto di intelligenza e di volontà per forzare le sbarre e spezzare le catene.

Questo quadro non celebra la libertà come un dono, ma come una conquista. I rossi sulla gabbia non sono solo ruggine, ma possono essere visti come il simbolo del sangue e del sudore versati nella lotta. L'arte dell'evasione richiede astuzia, perseveranza e un desiderio di libertà così potente da superare ogni ostacolo. È la differenza tra l'essere liberati e il liberarsi da soli. Questa opera celebra la seconda opzione.

Una volta avvenuta la fuga, la gabbia non scompare. Rimane lì, vuota, come un monumento. È il trofeo che testimonia la vittoria. Guardarla non suscita tristezza per la prigionia passata, ma orgoglio per la forza che ci è voluta per evadere.

L'opera cattura l'istante immediatamente successivo alla liberazione. L'aria vibra ancora dell'energia della fuga. La gabbia è la prova tangibile del nostro passato, un promemoria di ciò che abbiamo superato. E ci insegna che la vera libertà non significa cancellare le nostre cicatrici, ma guardarle come la mappa che ci ha condotto dove siamo ora.

"Liberi di volare" è quindi un inno alla resilienza umana, alla nostra capacità di spezzare le catene, siano esse fisiche o psicologiche, e di abbracciare la vita in tutta la sua meravigliosa e caotica complessità.


~Mia.

sabato 15 luglio 2023

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Il Respiro Necessario: Perché gli Intermezzi Sono il Cuore Nascosto di Ogni Opera

Quante volte ci siamo trovati immersi in una storia avvincente, un concerto mozzafiato, una pièce teatrale intensa, o anche un progetto lavorativo complesso, e abbiamo sentito il bisogno di una pausa, un cambio di ritmo, un momento per respirare? Non è debolezza o disattenzione; è la profonda, intrinseca necessità di ciò che, nel mondo dell'arte e non solo, chiamiamo "intermezzo".

L'intermezzo, in qualsiasi forma si manifesti, è molto più di una semplice interruzione. È una pausa strategica, un cambio di scena, un momento di riflessione che, lungi dal distrarre, arricchisce e dà profondità all'intera esperienza. Pensiamo alla musica: un intermezzo sinfonico tra due atti di un'opera non è solo un riempitivo. Spesso introduce un tema, prepara l'atmosfera per ciò che verrà, o offre un momento di pura bellezza musicale che permette all'ascoltatore di elaborare le emozioni del primo atto e prepararsi al successivo.

Nel teatro, l'intervallo non serve solo per sgranchirsi le gambe. È un momento per il pubblico di discutere, riflettere sui colpi di scena, assimilare le informazioni e le emozioni. E spesso, all'interno della stessa opera, ci sono brevi "intermezzi" narrativi – scene di alleggerimento, dialoghi che sembrano deviare dalla trama principale ma che rivelano carattere o foreshadowing, o momenti di quiete che precedono la tempesta.

Ma l'importanza degli intermezzi si estende ben oltre le arti performative. Pensiamo alla letteratura: un capitolo che si conclude con un cliffhanger e il successivo si apre con una digressione sulla storia di un personaggio secondario o una descrizione atmosferica. Questo non rallenta la trama; piuttosto, crea suspence, costruisce il mondo narrativo e dà al lettore il tempo di assorbire l'intensità del momento precedente prima di tuffarsi nuovamente nell'azione. Lo stesso vale per le pause descrittive che permettono al lettore di visualizzare meglio l'ambiente o lo stato d'animo dei personaggi.

Anche nel cinema, i montaggi alternati, i flashback o flashforward che interrompono la linearità narrativa, le scene più lente e contemplative tra sequenze d'azione frenetiche, servono come intermezzi visivi e narrativi. Permettono al pubblico di riprendere fiato, di elaborare le informazioni, e di apprezzare meglio il contrasto tra i momenti di tensione e quelli di calma.

E nella vita di tutti i giorni, o in un progetto lavorativo? Gli intermezzi sono altrettanto cruciali. Una breve pausa caffè durante una giornata lavorativa intensa, una passeggiata per schiarirsi le idee tra due compiti complessi, o anche solo un momento di silenzio per riorganizzare i pensieri prima di una decisione importante. Questi non sono momenti "persi", ma intervalli vitali che permettono alla nostra mente di ricalibrarsi, di prevenire il burnout, e di tornare al compito con rinnovata energia e prospettiva.

Gli intermezzi, quindi, sono il respiro necessario. Sono i momenti in cui l'opera (o la vita) prende una pausa, non per fermarsi, ma per permettere al pubblico, al lettore, all'ascoltatore – o a noi stessi – di metabolizzare, riflettere e prepararsi per ciò che verrà. Sono i silenzio tra le note che rendono la melodia, le pagine bianche che incorniciano il testo, le pause che rendono il discorso potente. Senza di essi, l'esperienza sarebbe un'ininterrotta, estenuante maratona, priva di ritmo, profondità e, in definitiva, di significato.

La prossima volta che incontrate un intermezzo, non liquidatelo come una semplice pausa. Riconoscetelo per quello che è: un elemento essenziale che contribuisce a rendere l'intera opera più ricca, coinvolgente e memorabile. È il luogo dove la bellezza si sedimenta e la magia si rinnova.


~Mia.

domenica 4 giugno 2023

Io, Tu …

Eravamo quei
pazzi a Venezia.



Follia d'Amore

Ci sono ricordi che non hanno bisogno di lunghi racconti. Sono come fotografie istantanee dell'anima, impresse in modo così vivido che una sola frase basta a contenerle tutte. La mia poesia "Io, tu ... " nasce da questa convinzione: che l'essenza di un legame, di un'intera stagione della vita, possa essere distillata in due soli versi.

Questa poesia è un portale. Pronunciare queste parole significa riaprire una porta su un tempo e un luogo specifici, su un modo di essere che apparteneva solo a un "noi". Analizziamo insieme come questo piccolo frammento possa raccontare una storia così grande.

Il Tempo della Nostalgia: "Io, tu..." e l'Imperfetto di "Eravamo"

Il titolo stesso, "Io, tu ...", con quei puntini di sospensione, lascia la frase in sospeso. Crea uno spazio intimo e silenzioso, un pensiero che fluttua. È l'inizio di ogni storia d'amore, la coppia primordiale.

Il verbo che segue, "Eravamo", è la chiave emotiva di tutto. L'uso del tempo imperfetto è una scelta cruciale nella lingua italiana. Non dice semplicemente "siamo stati" (un'azione conclusa), ma "eravamo". L'imperfetto è il tempo della nostalgia, di una condizione che si è protratta nel tempo, di un'abitudine felice. Descrive non cosa abbiamo fatto, ma chi eravamo. Ci trasporta immediatamente in un passato che non è percepito come morto e sepolto, ma come una dimensione ancora viva nel ricordo.

Un Patto Segreto: Chi erano "quei pazzi"?

La poesia non dice "eravamo pazzi", ma "eravamo quei pazzi". Quell'articolo determinativo ("quei") è un sigillo di unicità. Suggerisce un patto segreto, un'identità condivisa e riconosciuta solo dai due protagonisti. Non erano pazzi in modo generico; erano una specifica, irripetibile incarnazione della "follia".

Ma di quale follia stiamo parlando? Non è la follia clinica, ma la follia d'amore.

  • È la follia di chi ride troppo forte in una calle silenziosa.
  • È la follia di chi si bacia sotto la pioggia, incurante del mondo.
  • È la follia di chi vede la bellezza dove altri vedono solo decadenza.
  • È la libertà di essere se stessi fino in fondo, senza filtri e senza paura, perché si è protetti e compresi dallo sguardo dell'altro. Essere "pazzi" insieme è la forma più alta di intimità e di complicità.

Il Palcoscenico del Sogno: Perché proprio a Venezia?

La scelta del luogo non è casuale. Venezia non è solo una città, è un palcoscenico, un labirinto, un sogno galleggiante. È un luogo che esiste al di fuori delle regole del mondo ordinario.

  • È una città labirintica: Perdersi tra le calli e i canali di Venezia è parte dell'esperienza. È una metafora perfetta per due amanti che si perdono l'uno nell'altra, lontani da percorsi prestabiliti.
  • È un luogo fuori dal tempo: Con i suoi palazzi antichi e l'assenza di automobili, Venezia favorisce una sospensione dalla realtà. È l'ambiente ideale per una "follia" che non deve fare i conti con la prosaicità della vita di tutti i giorni.
  • È la città delle maschere: Venezia è il luogo dove si può essere qualcun altro, o meglio, dove si può essere la versione più vera di sé stessi, protetti dall'anonimato della sua bellezza.

Venezia, quindi, non è solo lo sfondo, ma il complice perfetto di questa affettuosa e meravigliosa pazzia.

In conclusione, "Io, tu ..." è un haiku della memoria. Celebra un passato che, anche se concluso ("eravamo"), ha definito un'identità di coppia così forte da diventare un punto fermo nel cuore. È la celebrazione di un amore che è stato, prima di tutto, una forma di libertà condivisa.


~Mia.

sabato 3 giugno 2023

A Mio Figlio

A cuor leggero
perché forse non ho più scuse
[per te]
darei la mia vita.



Incondizionato

Come si misura l'amore di un genitore? È una domanda che attraversa la storia dell'umanità, un sentimento così vasto che spesso le parole sembrano inadeguate a contenerlo. La mia poesia "a mio figlio" è un tentativo di distillare questo amore assoluto, di catturarne l'essenza non attraverso grandi dichiarazioni, ma attraverso una confessione sommessa e quasi paradossale.

Questa poesia si basa su un ossimoro, un contrasto che ne costituisce il cuore pulsante: l'idea di compiere il sacrificio più pesante "a cuor leggero". Analizziamo come questo paradosso si sviluppa.

Il Paradosso del "Cuor Leggero"

Il primo verso è spiazzante. L'atto di dare la propria vita è il gesto più estremo, più pesante che si possa immaginare. Associarlo alla leggerezza sembra quasi impossibile. Eppure, è proprio qui che si svela la natura più pura dell'amore genitoriale.

"A cuor leggero" non significa con superficialità. Significa:

  • Senza esitazione: La decisione non richiederebbe un dibattito interiore. Sarebbe istantanea, naturale, come respirare.
  • Senza peso: Il sacrificio non sarebbe vissuto come un fardello o una rinuncia, ma come il compimento di uno scopo più grande. La salvezza del figlio renderebbe "leggero" qualsiasi peso.
  • Con un senso di pace: L'atto stesso porterebbe a una risoluzione, a una quiete. La certezza di aver fatto l'unica cosa che contava davvero.

È un'espressione che spoglia il sacrificio di ogni dramma per rivelarne la natura più profonda: non un atto di morte, ma l'affermazione più radicale di un amore che dà la vita.

La Vulnerabilità di un Genitore: "Perché forse non ho più scuse"

Questo è il verso più complesso e vulnerabile dell'intera poesia. È la spiegazione del "cuor leggero", ed è una spiegazione che rivela una profonda auto-analisi. Cosa sono queste "scuse" che non si hanno più?

Diventare genitore spesso opera una sorta di semplificazione esistenziale. Molte delle cose per cui vivevamo prima – ambizioni personali, egoismi, paure, le piccole e grandi "scuse" che usiamo per proteggerci o per non dare il massimo – perdono di significato. La vita del figlio diventa il centro di gravità, il punto di riferimento assoluto.

Avere un figlio può significare non avere più "scuse" per non essere la versione migliore di sé, per non amare in modo totale. La parola "forse" è un tocco di umiltà straordinario. Non è una dichiarazione arrogante, ma una riflessione sussurrata. Il genitore si guarda dentro e "forse", con un po' di sorpresa, scopre di essere arrivato a questo punto di nudità emotiva, dove ogni altra ragione di vita impallidisce.

La Dedica Assoluta: "[per te] darei la mia vita"

Le parentesi quadre che isolano "[per te]" sono una scelta stilistica potente. Mettono il destinatario in uno spazio sacro, protetto. È il cuore della dichiarazione, ma è così ovvio e fondamentale che viene quasi messo tra parentesi, come un fondamento dato per scontato.

La frase finale, "darei la mia vita", arriva solo dopo questa preparazione psicologica. Non è più un cliché o un'iperbole romantica. È la conclusione logica e necessaria di un amore che ha eliminato ogni altra scusa, ogni altra via d'uscita. È l'unica risposta possibile alla domanda "perché vivo?".

In sintesi, "a mio figlio" non parla tanto della morte, quanto della scoperta di un amore incondizionato così potente da rendere leggero il pensiero del sacrificio ultimo. È una poesia sulla crescita personale che la genitorialità impone, spogliandoci fino a lasciarci con l'unica verità che conta davvero.



~Mia.

venerdì 2 giugno 2023

Girasole

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Natura

Avete mai osservato un girasole da vicino? Non solo la sua corolla solare, ma la trama quasi ipnotica dei suoi semi. È un capolavoro di design naturale, un simbolo di vitalità che segue la luce. Con la mia opera, intitolata semplicemente "Girasole", ho voluto esplorare proprio questo duplice aspetto: la sua anima organica e il suo scheletro matematico.

Questo non è il ritratto di un fiore colto in un campo, ma un viaggio all'interno della sua essenza. È un'opera di arte geometrica che si interroga su come l'ordine, la precisione e la regola possano dare vita a qualcosa di così universalmente riconosciuto come un simbolo di gioia e natura. In questo post vi guiderò attraverso il processo creativo e il simbolismo del girasole che si nasconde dietro ogni linea e ogni scelta cromatica.

L'idea per questo disegno geometrico non è nata osservando un campo fiorito, ma leggendo della connessione tra arte e matematica. Sono sempre stata affascinata dalla sequenza di Fibonacci, quella successione di numeri in cui ogni termine è la somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8...). Questa sequenza governa innumerevoli forme in natura: dalla conchiglia del nautilus, alle pigne, fino, appunto, alla disposizione dei semi nel capolino di un girasole.

I semi si organizzano in due serie di spirali che girano in direzioni opposte. Il numero di spirali in ciascuna direzione è quasi sempre una coppia di numeri di Fibonacci consecutivi. Questa perfezione nascosta, questo ordine nel caos apparente, è stata la vera scintilla. Volevo "disegnare" non tanto il girasole, quanto la legge matematica che lo rende così perfetto ed efficiente.

La struttura del quadro è concepita come un mandala-girasole. Il centro, il cuore pulsante dell'opera, è una griglia complessa, un reticolo che rappresenta la matrice dei semi. Qui ho passato ore a tracciare linee, a creare pattern dentro altri pattern, in un processo quasi meditativo. Questa sezione, realizzata con un marrone caldo e denso, simboleggia la terra, la fertilità, il potenziale di vita contenuto in ogni singolo seme.

Attorno a questo nucleo razionale, i petali esplodono. Ma anche qui, la geometria regna. Non sono petali morbidi e curvilinei, ma forme romboidali, diamanti di luce gialla e arancione che si irradiano verso l'esterno. Rappresentano l'energia, il calore, la manifestazione esteriore della vita. La loro ripetizione crea un ritmo, una pulsazione visiva che attira lo sguardo verso il centro e poi lo respinge verso l'esterno, proprio come l'energia del sole.

Un quadro con colori caldi e freddi vive di contrasti. La scelta dei colori non è stata casuale, ma fondamentale per trasmettere il significato del girasole in questa chiave di lettura.

  • Gialli e Arancioni: Sono i colori del sole, dell'ottimismo e della gioia. Qui sono usati in modo traslucido, quasi come vetrate di una cattedrale, per dare un senso di spiritualità e luce interiore.
  • Marrone/Rame: Il centro, come detto, è il colore della terra, della stabilità e delle origini. È il punto di partenza da cui tutto si genera.
  • Verde/Turchese: Lo sfondo, fatto di linee spezzate ed energetiche, rappresenta il mondo naturale circostante. Non è un prato tranquillo, ma un campo di energia vitale. Il suo colore freddo crea un contrasto vibrante con il calore del girasole, facendolo risaltare ancora di più e simboleggiando il contesto, l'ambiente in cui la vita fiorisce.

"Girasole" è per me la prova che arte e scienza, emozione e logica, non sono mondi separati. È un invito a guardare oltre la superficie delle cose, a cercare le strutture nascoste che governano la bellezza che ci circonda. È la celebrazione di come una regola matematica possa trasformarsi in pura poesia visiva.

Quest'opera mi ha insegnato la pazienza del tratto e la gioia della scoperta, la stessa gioia che prova un girasole nel volgersi, ogni giorno, verso la sua fonte di vita.


~Mia.

giovedì 25 maggio 2023

Nella vita di un gemelli

A dieci anni d’estate
impaziente 
attendevo di sentire
il cancello di casa 
dei miei zii aprirsi,
andavano verso mare
per poi farmi trovare sul balcone
e quasi sempre mi invitavano ad andare ... 
o forse sempre.


La Doppia Anima dell'Estate

Ci sono poesie che sono narrazioni epiche e altre che sono come fotografie dell'anima: istantanee perfette, capaci di catturare un intero universo di sensazioni in una manciata di versi. La mia poesia "nella vita di un gemelli" appartiene a questa seconda categoria. È un ricordo che affiora con la chiarezza di un sogno, un frammento di infanzia che porta con sé il profumo dell'estate e il suono di una promessa.

Vi invito a leggerla con me, prima di "zoomare" sui suoi dettagli e scoprire come ogni parola sia un piccolo ingranaggio di un meccanismo emotivo più grande.

Il Palcoscenico della Memoria: Un Balcone tra Due Mondi

La scena è di una semplicità disarmante: un bambino (o una bambina) di dieci anni, un balcone, un'estate. Ma ogni elemento è un simbolo potente. Il balcone non è solo un luogo fisico; è un palcoscenico, un confine. È lo spazio che separa il "dentro" – la casa, la staticità, l'attesa – dal "fuori", il mondo esterno che si muove verso un luogo mitico: il mare. Il mare, con tutto ciò che rappresenta: la libertà, il gioco, l'infinito.

Il vero protagonista, però, è un suono: lo scricchiolio del cancello che si apre. Quel suono è una "madeleine" proustiana, un innesco sensoriale che fa esplodere l'anticipazione. È il segnale che il mondo sta per mettersi in moto, che la monotonia dell'attesa sta per essere spezzata dalla gioia della partenza. Quell'attesa impaziente è il cuore pulsante della poesia, il motore emotivo che tutti abbiamo provato nei lunghi pomeriggi estivi della nostra infanzia.

Il Cuore Gemelli: Dualità, Attesa e Comunicazione

E qui entra in gioco il titolo: "nella vita di un gemelli". Perché questa scena è intrinsecamente "gemellare"? Il segno dei Gemelli, governato da Mercurio, è il segno della dualità, della comunicazione, della curiosità e dell'eterna giovinezza. E questa poesia ne è un ritratto perfetto.

  1. La Dualità: La scena è costruita su coppie di opposti.

    • Dentro/Fuori: Il bambino sul balcone (dentro) e gli zii che vanno al mare (fuori).
    • Staticità/Movimento: L'attesa immobile e la partenza imminente.
    • Silenzio/Suono: Il silenzio dell'attesa spezzato dal suono del cancello.
    • Realtà/Ricordo: La distinzione finale tra "quasi sempre" e "sempre", su cui torneremo.
  2. La Comunicazione: L'atto di "farsi trovare sul balcone" non è passivo. È una strategia comunicativa geniale e sottile. Non è una richiesta esplicita, non è un capriccio. È un mettersi in mostra silenzioso, un messaggio non verbale che dice: "Eccomi, esisto, vorrei tanto venire con voi". È una forma di comunicazione elegante, quasi diplomatica, tipica dell'energia dei Gemelli che sa come ottenere le cose con l'intelligenza e il fascino piuttosto che con la forza.

  3. L'Impazienza Curiosa: L'attesa "impaziente" è l'energia irrequieta del Gemelli, sempre proiettato verso la prossima avventura, il prossimo stimolo, la prossima scoperta. A dieci anni, il mare è la più grande delle avventure possibili, e l'attesa è una tortura dolce perché carica di speranza.

"Quasi Sempre... O Forse Sempre": La Nebbia Dorata del Ricordo

Gli ultimi due versi sono, a mio parere, il capolavoro della poesia. Introducono una crepa, un dubbio che rende il tutto incredibilmente autentico e struggente.

"Quasi sempre mi invitavano ad andare..."

Questa è la memoria razionale dell'adulto che ricorda. La mente sa che la perfezione assoluta è rara, che forse qualche volta l'invito non è arrivato, che qualche volta la delusione ha fatto capolino.

"... o forse sempre."

Questo è il cuore. È il desiderio del bambino interiore, è la memoria emotiva che tende a idealizzare, a trasformare i bei ricordi in una leggenda dorata. In questa piccola frase c'è tutta la nostalgia del mondo, il nostro bisogno umano di credere in un passato perfetto, in estati immacolate dove ogni attesa veniva sempre ripagata. Questa oscillazione tra il dato reale ("quasi") e il dato del cuore ("sempre") è l'essenza stessa della dualità gemellare.

Un'Estate Universale

Alla fine, "nella vita di un gemelli" trascende il suo titolo per parlare a tutti noi. Ci ricorda di quei momenti sospesi della nostra infanzia, di quelle attese cariche di promesse e di come la nostra memoria lavori incessantemente per proteggere la magia di quegli istanti.

È un invito a chiudere gli occhi e a cercare, nel nostro passato, il "suono del nostro cancello personale": quel piccolo segnale che ci diceva che stava per iniziare qualcosa di meraviglioso.


~mia.

Random 3

Siamo Davvero Liberi di Scegliere o è Già Tutto Scritto nel Nostro Cervello? Ciao a tutti, appassionati della mente e curiosi dell'unive...