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domenica 4 giugno 2023

Io, Tu …

Eravamo quei
pazzi a Venezia.



Follia d'Amore

Ci sono ricordi che non hanno bisogno di lunghi racconti. Sono come fotografie istantanee dell'anima, impresse in modo così vivido che una sola frase basta a contenerle tutte. La mia poesia "Io, tu ... " nasce da questa convinzione: che l'essenza di un legame, di un'intera stagione della vita, possa essere distillata in due soli versi.

Questa poesia è un portale. Pronunciare queste parole significa riaprire una porta su un tempo e un luogo specifici, su un modo di essere che apparteneva solo a un "noi". Analizziamo insieme come questo piccolo frammento possa raccontare una storia così grande.

Il Tempo della Nostalgia: "Io, tu..." e l'Imperfetto di "Eravamo"

Il titolo stesso, "Io, tu ...", con quei puntini di sospensione, lascia la frase in sospeso. Crea uno spazio intimo e silenzioso, un pensiero che fluttua. È l'inizio di ogni storia d'amore, la coppia primordiale.

Il verbo che segue, "Eravamo", è la chiave emotiva di tutto. L'uso del tempo imperfetto è una scelta cruciale nella lingua italiana. Non dice semplicemente "siamo stati" (un'azione conclusa), ma "eravamo". L'imperfetto è il tempo della nostalgia, di una condizione che si è protratta nel tempo, di un'abitudine felice. Descrive non cosa abbiamo fatto, ma chi eravamo. Ci trasporta immediatamente in un passato che non è percepito come morto e sepolto, ma come una dimensione ancora viva nel ricordo.

Un Patto Segreto: Chi erano "quei pazzi"?

La poesia non dice "eravamo pazzi", ma "eravamo quei pazzi". Quell'articolo determinativo ("quei") è un sigillo di unicità. Suggerisce un patto segreto, un'identità condivisa e riconosciuta solo dai due protagonisti. Non erano pazzi in modo generico; erano una specifica, irripetibile incarnazione della "follia".

Ma di quale follia stiamo parlando? Non è la follia clinica, ma la follia d'amore.

  • È la follia di chi ride troppo forte in una calle silenziosa.
  • È la follia di chi si bacia sotto la pioggia, incurante del mondo.
  • È la follia di chi vede la bellezza dove altri vedono solo decadenza.
  • È la libertà di essere se stessi fino in fondo, senza filtri e senza paura, perché si è protetti e compresi dallo sguardo dell'altro. Essere "pazzi" insieme è la forma più alta di intimità e di complicità.

Il Palcoscenico del Sogno: Perché proprio a Venezia?

La scelta del luogo non è casuale. Venezia non è solo una città, è un palcoscenico, un labirinto, un sogno galleggiante. È un luogo che esiste al di fuori delle regole del mondo ordinario.

  • È una città labirintica: Perdersi tra le calli e i canali di Venezia è parte dell'esperienza. È una metafora perfetta per due amanti che si perdono l'uno nell'altra, lontani da percorsi prestabiliti.
  • È un luogo fuori dal tempo: Con i suoi palazzi antichi e l'assenza di automobili, Venezia favorisce una sospensione dalla realtà. È l'ambiente ideale per una "follia" che non deve fare i conti con la prosaicità della vita di tutti i giorni.
  • È la città delle maschere: Venezia è il luogo dove si può essere qualcun altro, o meglio, dove si può essere la versione più vera di sé stessi, protetti dall'anonimato della sua bellezza.

Venezia, quindi, non è solo lo sfondo, ma il complice perfetto di questa affettuosa e meravigliosa pazzia.

In conclusione, "Io, tu ..." è un haiku della memoria. Celebra un passato che, anche se concluso ("eravamo"), ha definito un'identità di coppia così forte da diventare un punto fermo nel cuore. È la celebrazione di un amore che è stato, prima di tutto, una forma di libertà condivisa.


~Mia.

sabato 3 giugno 2023

A Mio Figlio

A cuor leggero
perché forse non ho più scuse
[per te]
darei la mia vita.



Incondizionato

Come si misura l'amore di un genitore? È una domanda che attraversa la storia dell'umanità, un sentimento così vasto che spesso le parole sembrano inadeguate a contenerlo. La mia poesia "a mio figlio" è un tentativo di distillare questo amore assoluto, di catturarne l'essenza non attraverso grandi dichiarazioni, ma attraverso una confessione sommessa e quasi paradossale.

Questa poesia si basa su un ossimoro, un contrasto che ne costituisce il cuore pulsante: l'idea di compiere il sacrificio più pesante "a cuor leggero". Analizziamo come questo paradosso si sviluppa.

Il Paradosso del "Cuor Leggero"

Il primo verso è spiazzante. L'atto di dare la propria vita è il gesto più estremo, più pesante che si possa immaginare. Associarlo alla leggerezza sembra quasi impossibile. Eppure, è proprio qui che si svela la natura più pura dell'amore genitoriale.

"A cuor leggero" non significa con superficialità. Significa:

  • Senza esitazione: La decisione non richiederebbe un dibattito interiore. Sarebbe istantanea, naturale, come respirare.
  • Senza peso: Il sacrificio non sarebbe vissuto come un fardello o una rinuncia, ma come il compimento di uno scopo più grande. La salvezza del figlio renderebbe "leggero" qualsiasi peso.
  • Con un senso di pace: L'atto stesso porterebbe a una risoluzione, a una quiete. La certezza di aver fatto l'unica cosa che contava davvero.

È un'espressione che spoglia il sacrificio di ogni dramma per rivelarne la natura più profonda: non un atto di morte, ma l'affermazione più radicale di un amore che dà la vita.

La Vulnerabilità di un Genitore: "Perché forse non ho più scuse"

Questo è il verso più complesso e vulnerabile dell'intera poesia. È la spiegazione del "cuor leggero", ed è una spiegazione che rivela una profonda auto-analisi. Cosa sono queste "scuse" che non si hanno più?

Diventare genitore spesso opera una sorta di semplificazione esistenziale. Molte delle cose per cui vivevamo prima – ambizioni personali, egoismi, paure, le piccole e grandi "scuse" che usiamo per proteggerci o per non dare il massimo – perdono di significato. La vita del figlio diventa il centro di gravità, il punto di riferimento assoluto.

Avere un figlio può significare non avere più "scuse" per non essere la versione migliore di sé, per non amare in modo totale. La parola "forse" è un tocco di umiltà straordinario. Non è una dichiarazione arrogante, ma una riflessione sussurrata. Il genitore si guarda dentro e "forse", con un po' di sorpresa, scopre di essere arrivato a questo punto di nudità emotiva, dove ogni altra ragione di vita impallidisce.

La Dedica Assoluta: "[per te] darei la mia vita"

Le parentesi quadre che isolano "[per te]" sono una scelta stilistica potente. Mettono il destinatario in uno spazio sacro, protetto. È il cuore della dichiarazione, ma è così ovvio e fondamentale che viene quasi messo tra parentesi, come un fondamento dato per scontato.

La frase finale, "darei la mia vita", arriva solo dopo questa preparazione psicologica. Non è più un cliché o un'iperbole romantica. È la conclusione logica e necessaria di un amore che ha eliminato ogni altra scusa, ogni altra via d'uscita. È l'unica risposta possibile alla domanda "perché vivo?".

In sintesi, "a mio figlio" non parla tanto della morte, quanto della scoperta di un amore incondizionato così potente da rendere leggero il pensiero del sacrificio ultimo. È una poesia sulla crescita personale che la genitorialità impone, spogliandoci fino a lasciarci con l'unica verità che conta davvero.



~Mia.

venerdì 2 giugno 2023

Girasole

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Natura

Avete mai osservato un girasole da vicino? Non solo la sua corolla solare, ma la trama quasi ipnotica dei suoi semi. È un capolavoro di design naturale, un simbolo di vitalità che segue la luce. Con la mia opera, intitolata semplicemente "Girasole", ho voluto esplorare proprio questo duplice aspetto: la sua anima organica e il suo scheletro matematico.

Questo non è il ritratto di un fiore colto in un campo, ma un viaggio all'interno della sua essenza. È un'opera di arte geometrica che si interroga su come l'ordine, la precisione e la regola possano dare vita a qualcosa di così universalmente riconosciuto come un simbolo di gioia e natura. In questo post vi guiderò attraverso il processo creativo e il simbolismo del girasole che si nasconde dietro ogni linea e ogni scelta cromatica.

L'idea per questo disegno geometrico non è nata osservando un campo fiorito, ma leggendo della connessione tra arte e matematica. Sono sempre stata affascinata dalla sequenza di Fibonacci, quella successione di numeri in cui ogni termine è la somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8...). Questa sequenza governa innumerevoli forme in natura: dalla conchiglia del nautilus, alle pigne, fino, appunto, alla disposizione dei semi nel capolino di un girasole.

I semi si organizzano in due serie di spirali che girano in direzioni opposte. Il numero di spirali in ciascuna direzione è quasi sempre una coppia di numeri di Fibonacci consecutivi. Questa perfezione nascosta, questo ordine nel caos apparente, è stata la vera scintilla. Volevo "disegnare" non tanto il girasole, quanto la legge matematica che lo rende così perfetto ed efficiente.

La struttura del quadro è concepita come un mandala-girasole. Il centro, il cuore pulsante dell'opera, è una griglia complessa, un reticolo che rappresenta la matrice dei semi. Qui ho passato ore a tracciare linee, a creare pattern dentro altri pattern, in un processo quasi meditativo. Questa sezione, realizzata con un marrone caldo e denso, simboleggia la terra, la fertilità, il potenziale di vita contenuto in ogni singolo seme.

Attorno a questo nucleo razionale, i petali esplodono. Ma anche qui, la geometria regna. Non sono petali morbidi e curvilinei, ma forme romboidali, diamanti di luce gialla e arancione che si irradiano verso l'esterno. Rappresentano l'energia, il calore, la manifestazione esteriore della vita. La loro ripetizione crea un ritmo, una pulsazione visiva che attira lo sguardo verso il centro e poi lo respinge verso l'esterno, proprio come l'energia del sole.

Un quadro con colori caldi e freddi vive di contrasti. La scelta dei colori non è stata casuale, ma fondamentale per trasmettere il significato del girasole in questa chiave di lettura.

  • Gialli e Arancioni: Sono i colori del sole, dell'ottimismo e della gioia. Qui sono usati in modo traslucido, quasi come vetrate di una cattedrale, per dare un senso di spiritualità e luce interiore.
  • Marrone/Rame: Il centro, come detto, è il colore della terra, della stabilità e delle origini. È il punto di partenza da cui tutto si genera.
  • Verde/Turchese: Lo sfondo, fatto di linee spezzate ed energetiche, rappresenta il mondo naturale circostante. Non è un prato tranquillo, ma un campo di energia vitale. Il suo colore freddo crea un contrasto vibrante con il calore del girasole, facendolo risaltare ancora di più e simboleggiando il contesto, l'ambiente in cui la vita fiorisce.

"Girasole" è per me la prova che arte e scienza, emozione e logica, non sono mondi separati. È un invito a guardare oltre la superficie delle cose, a cercare le strutture nascoste che governano la bellezza che ci circonda. È la celebrazione di come una regola matematica possa trasformarsi in pura poesia visiva.

Quest'opera mi ha insegnato la pazienza del tratto e la gioia della scoperta, la stessa gioia che prova un girasole nel volgersi, ogni giorno, verso la sua fonte di vita.


~Mia.

giovedì 25 maggio 2023

Nella vita di un gemelli

A dieci anni d’estate
impaziente 
attendevo di sentire
il cancello di casa 
dei miei zii aprirsi,
andavano verso mare
per poi farmi trovare sul balcone
e quasi sempre mi invitavano ad andare ... 
o forse sempre.


La Doppia Anima dell'Estate

Ci sono poesie che sono narrazioni epiche e altre che sono come fotografie dell'anima: istantanee perfette, capaci di catturare un intero universo di sensazioni in una manciata di versi. La mia poesia "nella vita di un gemelli" appartiene a questa seconda categoria. È un ricordo che affiora con la chiarezza di un sogno, un frammento di infanzia che porta con sé il profumo dell'estate e il suono di una promessa.

Vi invito a leggerla con me, prima di "zoomare" sui suoi dettagli e scoprire come ogni parola sia un piccolo ingranaggio di un meccanismo emotivo più grande.

Il Palcoscenico della Memoria: Un Balcone tra Due Mondi

La scena è di una semplicità disarmante: un bambino (o una bambina) di dieci anni, un balcone, un'estate. Ma ogni elemento è un simbolo potente. Il balcone non è solo un luogo fisico; è un palcoscenico, un confine. È lo spazio che separa il "dentro" – la casa, la staticità, l'attesa – dal "fuori", il mondo esterno che si muove verso un luogo mitico: il mare. Il mare, con tutto ciò che rappresenta: la libertà, il gioco, l'infinito.

Il vero protagonista, però, è un suono: lo scricchiolio del cancello che si apre. Quel suono è una "madeleine" proustiana, un innesco sensoriale che fa esplodere l'anticipazione. È il segnale che il mondo sta per mettersi in moto, che la monotonia dell'attesa sta per essere spezzata dalla gioia della partenza. Quell'attesa impaziente è il cuore pulsante della poesia, il motore emotivo che tutti abbiamo provato nei lunghi pomeriggi estivi della nostra infanzia.

Il Cuore Gemelli: Dualità, Attesa e Comunicazione

E qui entra in gioco il titolo: "nella vita di un gemelli". Perché questa scena è intrinsecamente "gemellare"? Il segno dei Gemelli, governato da Mercurio, è il segno della dualità, della comunicazione, della curiosità e dell'eterna giovinezza. E questa poesia ne è un ritratto perfetto.

  1. La Dualità: La scena è costruita su coppie di opposti.

    • Dentro/Fuori: Il bambino sul balcone (dentro) e gli zii che vanno al mare (fuori).
    • Staticità/Movimento: L'attesa immobile e la partenza imminente.
    • Silenzio/Suono: Il silenzio dell'attesa spezzato dal suono del cancello.
    • Realtà/Ricordo: La distinzione finale tra "quasi sempre" e "sempre", su cui torneremo.
  2. La Comunicazione: L'atto di "farsi trovare sul balcone" non è passivo. È una strategia comunicativa geniale e sottile. Non è una richiesta esplicita, non è un capriccio. È un mettersi in mostra silenzioso, un messaggio non verbale che dice: "Eccomi, esisto, vorrei tanto venire con voi". È una forma di comunicazione elegante, quasi diplomatica, tipica dell'energia dei Gemelli che sa come ottenere le cose con l'intelligenza e il fascino piuttosto che con la forza.

  3. L'Impazienza Curiosa: L'attesa "impaziente" è l'energia irrequieta del Gemelli, sempre proiettato verso la prossima avventura, il prossimo stimolo, la prossima scoperta. A dieci anni, il mare è la più grande delle avventure possibili, e l'attesa è una tortura dolce perché carica di speranza.

"Quasi Sempre... O Forse Sempre": La Nebbia Dorata del Ricordo

Gli ultimi due versi sono, a mio parere, il capolavoro della poesia. Introducono una crepa, un dubbio che rende il tutto incredibilmente autentico e struggente.

"Quasi sempre mi invitavano ad andare..."

Questa è la memoria razionale dell'adulto che ricorda. La mente sa che la perfezione assoluta è rara, che forse qualche volta l'invito non è arrivato, che qualche volta la delusione ha fatto capolino.

"... o forse sempre."

Questo è il cuore. È il desiderio del bambino interiore, è la memoria emotiva che tende a idealizzare, a trasformare i bei ricordi in una leggenda dorata. In questa piccola frase c'è tutta la nostalgia del mondo, il nostro bisogno umano di credere in un passato perfetto, in estati immacolate dove ogni attesa veniva sempre ripagata. Questa oscillazione tra il dato reale ("quasi") e il dato del cuore ("sempre") è l'essenza stessa della dualità gemellare.

Un'Estate Universale

Alla fine, "nella vita di un gemelli" trascende il suo titolo per parlare a tutti noi. Ci ricorda di quei momenti sospesi della nostra infanzia, di quelle attese cariche di promesse e di come la nostra memoria lavori incessantemente per proteggere la magia di quegli istanti.

È un invito a chiudere gli occhi e a cercare, nel nostro passato, il "suono del nostro cancello personale": quel piccolo segnale che ci diceva che stava per iniziare qualcosa di meraviglioso.


~mia.

lunedì 10 aprile 2023

Se sorridessi

Scriverei per te, burlone
raccontando del desiderio
alquanto complesso
di un sorriso imperituro.
Animo giovane, spensierato 
mi solletichi lo stomaco
nel ricordo del bambino
tra il maturare delle stagioni;
dallo schiudere d’ un fiore
in un cuore di farfalle
e dei miei occhi 
oltre ogni confine
rivolti verso te.


Un Amore Oltre Ogni Confine

Ci sono gioie silenziose, quasi segrete, che solo un genitore può comprendere fino in fondo. Una di queste è, senza dubbio, il potere racchiuso nel sorriso di un figlio. Non è solo un movimento di labbra, ma un'esplosione di luce capace di rimettere in ordine il mondo, di scaldare il cuore e di dare un senso a tutto.

Ho cercato di catturare questa sensazione inafferrabile nella mia poesia "se sorridessi", un dialogo interiore dedicato a quel sorriso ineguagliabile che sa essere, allo stesso tempo, fonte di gioia pura e di 

La poesia inizia con una dedica e una dichiarazione d'intenti. Chiamare il proprio figlio "burlone" stabilisce subito un tono di affetto, di complicità, di leggerezza. Ma subito dopo, il sentimento si fa più profondo. L'atto di scrivere diventa una necessità, una risposta a un'emozione travolgente.

E qual è l'oggetto di questa scrittura? Il "desiderio alquanto complesso di un sorriso imperituro". Questa frase è il cuore filosofico della poesia. Un genitore non desidera solo la felicità del figlio nel presente, ma sogna per lui una felicità eterna, un "sorriso imperituro", che non muore mai. È un desiderio "complesso" perché è umanamente impossibile, va contro le leggi del tempo e della vita stessa. Eppure, in questa richiesta impossibile all'universo risiede la misura esatta di un amore incondizionato.

La seconda strofa ci porta in un'altra dimensione: quella del tempo e della memoria. Il sorriso del figlio, oggi, non è un evento isolato. Il suo "animo giovane, spensierato" provoca una reazione fisica, viscerale: "mi solletichi lo stomaco". È la sensazione delle farfalle, un misto di gioia e amore che si agita dentro.

Ma questa sensazione presente si lega indissolubilmente al "ricordo del bambino". Vedendo il figlio oggi, il genitore rivede anche tutte le versioni passate di lui. È qui che la poesia tocca una corda di dolce nostalgia. La frase "tra il maturare delle stagioni" è una metafora meravigliosa per descrivere la crescita, il passare inesorabile del tempo che trasforma un neonato in un bambino e poi in un ragazzo. C'è la gioia di vederlo crescere, ma anche la consapevolezza malinconica che ogni fase della sua infanzia è unica e fugace.

La strofa finale è un'esplosione di immagini potenti che descrivono l'effetto del sorriso sul genitore. Cosa succede dentro, nel momento esatto in cui quel sorriso appare?

  • "dallo schiudere d’ un fiore": Il sorriso è come un bocciolo che si apre. È un evento naturale, perfetto, un piccolo miracolo di bellezza che porta con sé la promessa della primavera, della vita che si rinnova.
  • "in un cuore di farfalle": L'immagine del fiore si collega a quella delle farfalle, creando un ecosistema di gioia pura all'interno del genitore. Il cuore non è più solo un organo, ma un giardino interiore che fiorisce e si popola di leggerezza.
  • "e dei miei occhi oltre ogni confine / rivolti verso te": Questa è la chiusura, la dichiarazione finale. L'amore di un genitore è uno sguardo totalizzante. In quel momento, non esiste nient'altro. I confini del mondo, le preoccupazioni, il rumore di fondo della vita, tutto svanisce. Esiste solo quello sguardo, un faro puntato costantemente sul figlio, un amore che va "oltre ogni confine" geografico, temporale ed emotivo.

"Se sorridessi" è un viaggio intimo nell'amore genitoriale. Racconta come un semplice sorriso possa diventare un evento cosmico, capace di farci scrivere, ricordare, fiorire e guardare al futuro con un amore che non conosce limiti. È la celebrazione di un legame unico, un sentimento che, pur nascendo da un'esperienza personalissima, si rivela profondamente universale.


~mia.





venerdì 24 marzo 2023

Labbra

L’ andirivieni dei treni
le pagine belle di un libro
tra la vita di tutti i giorni
rimbomba un fonema
come fosse metallo
a rugliare nelle paure.


Un Suono che Infrange il Quotidiano

Le labbra. Sono il confine tra il nostro mondo interiore e quello esteriore. Dalle labbra nascono i baci, i sussurri, le parole che consolano. Ma sempre dalle labbra può scaturire un suono capace di ferire, di incrinare la realtà, di piantarsi nella memoria come una scheggia.

La mia poesia "Labbra" esplora proprio questa seconda, più oscura, possibilità. È un frammento che fotografa l'istante esatto in cui la melodia rassicurante della vita di tutti i giorni viene infranta da un suono che si fa minaccia

I primi tre versi costruiscono volutamente una scenografia di ordinaria tranquillità.

  • "L’ andirivieni dei treni": È l'immagine del mondo che va avanti. È il simbolo della routine, del viaggio, di un movimento costante e prevedibile. Il suono del treno, in lontananza, è spesso un sottofondo quasi confortante della vita urbana.
  • "le pagine belle di un libro": Qui l'attenzione si sposta dall'esterno all'interno, in uno spazio privato di piacere e cultura. Il libro rappresenta l'ordine, la narrazione, la possibilità di rifugiarsi in storie che hanno un inizio e una fine. È un'oasi di bellezza controllata.
  • "tra la vita di tutti i giorni": Questo verso è il collante che tiene insieme la scena. Ci dice che i treni e i libri non sono eventi eccezionali, ma parte del tessuto della nostra esistenza, del flusso placido e familiare del quotidiano.

In queste poche righe, si delinea un'atmosfera di pace, una "quiete prima della tempesta" emotiva che sta per scatenarsi.

Ed è qui che tutto si rompe. Improvvisamente, in questo scenario pacifico, "rimbomba un fonema". Analizziamo questa scelta di parole:

  • "Rimbomba": Non è un suono qualunque, è un'eco potente, invasiva, che occupa tutto lo spazio acustico e mentale. Ha una qualità quasi violenta.
  • "un fonema": L'elemento geniale è questo. Non rimbomba una parola, né una frase, ma un "fonema", l'unità sonora più piccola di una lingua. È un suono quasi astratto, spogliato di significato ma non di potere. Potrebbe essere una singola vocale, una consonante dura. Questa scelta lo rende più primordiale, più inspiegabile e per questo più spaventoso.

La poesia prosegue con una similitudine agghiacciante: "come fosse metallo". Il suono, nato dalle labbra (un organo morbido, umano), assume le qualità del metallo: freddo, duro, pesante, industriale, privo di vita e di empatia. È un suono che ferisce, che non si può piegare. Il contrasto tra la fonte ("Labbra") e la natura del suono (metallo) è il cuore del dramma. Forse una parola detta con crudeltà, una notizia gelida, un'offesa che si conficca dentro.

L'ultimo verso è la destinazione di questo suono metallico: "a rugliare nelle paure". Il verbo "rugliare" è animalesco, primitivo. Appartiene a una bestia feroce. Questo fonema non è più un'eco passiva, ma un'entità viva e aggressiva che ha trovato una tana. E questa tana sono le nostre paure.

La paura non è più un'emozione astratta, ma un luogo fisico, una caverna interiore dove questo suono mostruoso si è insediato e continua a "rugliare". È l'immagine perfetta di un trauma, di un'ansia persistente, di un pensiero ossessivo che non dà tregua. È il rumore di fondo della nostra inquietudine che, a volte, si amplifica fino a diventare un ruggito che copre ogni altro suono.

"Labbra" è una poesia sulla vulnerabilità. Ci ricorda come la nostra pace interiore, costruita con la routine e le piccole gioie ("i treni", "i libri"), sia in realtà fragile. Basta un fonema, un frammento di suono nato da labbra umane ma trasfigurato in metallo, per far crollare tutto e risvegliare le bestie che dormono nelle nostre paure.

È un monito sul potere, spesso sottovalutato, delle parole e dei suoni. E ci lascia con una domanda sospesa: come si fa a zittire un ruggito che viene da dentro?


~mia.



martedì 21 marzo 2023

Venti

Leone
dal tuo naso in su,
per quanto grave
la terra

nemmeno una lacrima
indugia, rimane solo
lei.



Tra Forza Leonina e il Soffio del Tempo

A volte, la forza non ha bisogno di urla o di grandi gesti. A volte, la forza più profonda è un silenzio, uno sguardo fisso, un'assenza. L'assenza di una lacrima di fronte al peso del mondo. La mia poesia "Venti" è un tentativo di catturare proprio questa forma di quiete indomabile, un ritratto di resilienza scolpito in una manciata di versi.

Il primo indizio, la chiave di volta della poesia, è il suo titolo: "Venti". Questa parola in italiano ha una meravigliosa e potente ambiguità.

  • Vènti (i venti, plurale di vento): Questa lettura suggerisce una forza della natura. I venti sono invisibili ma potenti, capaci di spazzare via le nuvole, le foglie secche e, metaforicamente, le lacrime. Il vento è un simbolo di cambiamento, di purificazione, di una potenza che non si può fermare. Il Leone della poesia è forse sferzato da questi venti, ma non si piega; anzi, il vento stesso sembra asciugargli il volto prima che la debolezza possa mostrarsi.
  • Vénti (il numero 20): Questa seconda lettura trasforma completamente la poesia, dandole una dimensione anagrafica e umana. Il "Leone" potrebbe avere vent'anni. Un'età soglia, un momento di passaggio in cui si affronta per la prima volta la "grave terra" – le responsabilità, i dolori, le disillusioni del mondo adulto – con l'orgoglio e la fiera determinazione della gioventù. L'assenza di lacrime diventa allora un manifesto di forza giovanile.

È probabile che entrambe le letture convivano, arricchendosi a vicenda. La forza del Leone è elementare come il vento e fiera come quella di un ventenne che affronta il mondo.

La poesia si apre con un'invocazione: "Leone". Il leone è l'archetipo del coraggio, della regalità, della fierezza e della forza. Che si tratti dell'animale o del segno zodiacale, l'immagine è quella di chi non china la testa.

La scelta di inquadrare la figura "dal tuo naso in su" è una decisione poetica magistrale. Esclude la bocca (simbolo del lamento, della parola) per concentrarsi sulla parte alta del volto: la fronte, sede del pensiero e della volontà, e soprattutto gli occhi. Gli occhi, da cui dovrebbero nascere le lacrime, sono invece il luogo di una resistenza silenziosa. È lo sguardo di chi affronta la situazione a testa alta, senza distogliere la vista dalla gravità del mondo ("per quanto grave la terra").

I versi finali sono il cuore del mistero e della potenza della poesia. Di fronte a una situazione pesante, "nemmeno una lacrima indugia". Non è solo che il Leone non piange; è che la lacrima non fa nemmeno in tempo a formarsi, a esitare sul suo volto. Viene spazzata via, forse da quel "vento" del titolo.

E al suo posto, cosa rimane? "rimane solo / lei."

Chi è "lei"? La poesia, volutamente, non lo svela, lasciando a noi il compito di riempire quello spazio. "Lei" è la personificazione di un'essenza femminile, un principio che è più forte del dolore. Possiamo ipotizzare diverse identità, tutte valide e potenti:

  • La Dignità: Forse la più adatta al ritratto del Leone. Quando tutto il resto crolla, rimane la propria dignità, intatta e sovrana.
  • La Forza: La più diretta e istintiva. La forza interiore, nuda e pura, è l'unica cosa che non può essere sconfitta.
  • La Volontà: La decisione cosciente di non cedere, la determinazione che arde negli occhi.
  • La Fiamma: Un'immagine più poetica. La fiamma della vita, dello spirito indomito, che continua a bruciare anche senza lacrime a darle un aspetto tremolante.

"Lei" è, forse, la somma di tutte queste cose. È l'anima stessa del Leone, la sua essenza più profonda che si rivela proprio nel momento di massima pressione, quando ogni fragilità è stata erosa.

"Venti" è una celebrazione della resilienza. Ci insegna che la vera forza non è l'assenza di dolore – "la terra" è e rimane "grave" – ma la capacità di affrontarlo senza perdere la propria essenza. È un'ode alla dignità silenziosa, a quel nucleo indistruttibile che rimane in noi quando tutto il resto sembra perduto. È la forza tranquilla di un Leone, la furia purificatrice del vento e l'orgoglio invincibile dei vent'anni.

E ci lascia con una domanda che risuona a lungo, ben dopo la fine della lettura: E in voi, nei momenti più gravi, quando le lacrime non scendono, chi o cosa è "lei" che rimane?



~mia.

domenica 19 febbraio 2023

Felicità

Le ali
non spaventano
di occhietti
che trasformano in te 
la mia libertà.



Felicità è Libertà Trasformata: Analisi della Poesia "Felicità"

Cos'è la felicità? E cos'è la libertà? Spesso pensiamo a quest'ultima come a un paio d'ali, alla possibilità di volare senza restrizioni, senza legami. Ma se la vera felicità, la forma più pura di libertà, si trovasse non nell'assenza di legami, ma nel donare volontariamente le proprie ali a qualcun altro?

Questo paradosso meraviglioso è il cuore della mia breve poesia "Felicità", un testo che cerca di dare una forma a un sentimento tanto ineffabile quanto universale.

La poesia si apre con un'immagine potentissima: "Le ali". Le ali sono il simbolo archetipico della libertà, dell'indipendenza, dell'individualità. Rappresentano la vita del "prima", la capacità di andare ovunque, di perseguire ambizioni personali senza vincoli.

Il verso successivo, "non spaventano", è una dichiarazione di una forza e di una serenità immense. Implica che, in teoria, queste ali potrebbero spaventare. E perché? Perché l'arrivo di un figlio, l'atto di dedicarsi completamente a un altro essere, porta con sé la tacita consapevolezza che quelle ali dovranno cambiare funzione. C'è la paura, umana e legittima, di perdere la propria identità, di non poter più "volare" come prima.

La poesia inizia quindi con una vittoria: la paura è stata guardata in faccia e superata. Non c'è rimpianto né terrore in questa nuova fase della vita. C'è solo una calma e matura accettazione.

A chi appartengono queste ali che non fanno più paura? Il verso successivo ce lo svela con una tenerezza disarmante: "di occhietti".

L'uso del diminutivo "occhietti" è una scelta cruciale. Trasporta immediatamente il lettore in una dimensione di intimità e affetto profondo. Non sono gli occhi di un adulto, ma quelli piccoli e curiosi di un bambino. Sono questi occhietti ad essere i veri protagonisti, gli alchimisti capaci di compiere la magia descritta nei versi successivi.

Lo sguardo di un bambino ha un potere unico: ci costringe a vedere il mondo daccapo, a riscoprire la meraviglia nelle piccole cose. E, come ci mostra la poesia, ha il potere di operare una trasformazione radicale.

Questi ultimi due versi sono il cuore pulsante della poesia e la sua definizione di "Felicità". Gli occhietti del bambino compiono un miracolo: "trasformano in te la mia libertà".

Analizziamo questa frase straordinaria. La libertà non viene cancellata, non viene distrutta o rubata. Non è una perdita. È una trasformazione. La mia libertà personale, le mie "ali", non svaniscono nel nulla, ma vengono riforgiate e trovano una nuova, più elevata, forma di esistenza nella persona di mio figlio.

  • La libertà di viaggiare per il mondo diventa la libertà di esplorare l'universo in un filo d'erba nel parco, insieme a te.
  • La libertà di dedicarmi senza sosta alle mie passioni diventa la libertà di insegnarti a scoprire le tue, e di gioire dei tuoi successi come se fossero i miei.
  • La libertà di essere un "io" solitario e indipendente diventa la libertà più grande di tutte: quella di essere un "noi", uniti da un legame indissolubile.

La felicità, quindi, non è avere le ali per volare via, ma scoprire che quelle stesse ali possono diventare un nido, un rifugio. È capire che la massima espressione della propria libertà non è l'assenza di legami, ma la scelta consapevole di legarsi per amore.

"Felicità" ci offre una visione controcorrente ma profondamente vera. In un mondo che spesso esalta l'individualismo, questa poesia ci ricorda che l'essere umano trova il suo compimento più autentico nella relazione, nel dono di sé.

La vera libertà non è non avere nulla da perdere; è avere qualcosa – o qualcuno – per cui vale la pena trasformare tutto ciò che siamo. E questa, forse, è la definizione più accurata e commovente della felicità.

~mia.

domenica 5 febbraio 2023

Passeggiare la sera

Passeggiare la Sera quadro Analisi quadro astratto Pittura espressionista italiana Pittura materica



Tra Caos Urbano ed Energia Interiore

Passeggiare la sera in una città non è quasi mai un'esperienza tranquilla. È un'immersione in un vortice di stimoli: le luci artificiali che deformano i colori, il nero del cielo che si scontra con il bagliore delle vetrine, il movimento incessante di un mondo che non si ferma.

La mia opera, intitolata "Passeggiare la Sera", non cerca di ritrarre una via o una piazza specifica. Cerca, piuttosto, di dipingere la sensazione stessa di questa esperienza: un dialogo tra l'energia interiore di un individuo e il caos vibrante del paesaggio urbano notturno. Attraverso l'uso di una pittura espressionista e di una tecnica a impasto, ho voluto dare corpo e materia a questo momento.

Al centro della composizione, sulla sinistra, si staglia una figura. Non è un ritratto, ma un'essenza. Il suo corpo è un blocco di giallo primario, un colore che qui non rappresenta la gioia solare, ma un'energia quasi elettrica, una luce personale che si fa strada nel buio. Potrebbe essere la luce di un lampione che si aggrappa alla sua figura, o più probabilmente, la sua stessa forza vitale, un nucleo di calore e individualità che lo rende protagonista della scena.

Su questo giallo vibrante, esplodono macchie di rosso e arancione. Sono il suo cuore pulsante, le sue emozioni, i suoi pensieri. Il rosso è il colore della passione, dell'intensità, forse anche di una certa urgenza. Le due pennellate spesse che si allungano verso il basso non sono semplici gambe: sono il gesto stesso del camminare, un passo deciso su un terreno tutt'altro che stabile.

Il Paesaggio Urbano: Un Vortice di Stimoli

Tutto intorno alla figura, la "sera" prende vita in un caos controllato.

  • Il Terreno: Il suolo è un amalgama di grigi, neri e bianchi. Non è un marciapiede liscio, ma una superficie scabra, irregolare, quasi tumultuosa. La pittura spessa e materica suggerisce un asfalto bagnato dalla pioggia, dove le luci si riflettono in modo confuso e frammentario.
  • Le Luci e le Ombre: Il resto della tela è una battaglia tra il blu profondo e il nero della notte e altre esplosioni di giallo. Questi gialli non sono fari rassicuranti, ma lampi, bagliori improvvisi di lampioni, vetrine o fari di automobili che lacerano l'oscurità.
  • I Colori della Notte: L'inclusione di verdi acidi e tonalità olivastre è una scelta deliberata per rappresentare come la luce artificiale della sera alteri la nostra percezione. Un albero o una siepe non appaiono mai del loro colore naturale sotto un lampione; assumono tinte strane, quasi aliene, contribuendo al senso di un'atmosfera vibrante e talvolta straniante.

La Tecnica che Racconta: Il Potere dell'Impasto

In quest'opera, la tecnica non è secondaria al soggetto, ma è essa stessa parte della narrazione. Ho utilizzato la pittura a impasto, applicando il colore in strati spessi e densi, spesso direttamente dal tubetto o con una spatola.

Questa scelta ha uno scopo preciso:

  • Dare Fisicità: La texture tridimensionale rende l'esperienza quasi tattile. Si può quasi sentire la ruvidità del terreno sotto i piedi della figura.
  • Esaltare l'Energia: Le pennellate non sono sfumate, ma sono gesti energici, a tratti quasi violenti. Questo trasmette il ritmo frenetico della città, il flusso incessante di energia che attraversa la scena. Le striature sulla destra potrebbero rappresentare la velocità, il movimento sfocato, il rumore visivo della metropoli.

"Passeggiare la Sera" non è la cronaca di una camminata, ma la sua traduzione emotiva. È il racconto della solitudine e allo stesso tempo della vitalità dell'individuo immerso nella folla anonima della città. È il contrasto tra la propria luce interiore, calda e definita, e la frammentazione di un mondo esterno che è affascinante e travolgente allo stesso tempo.

È l'energia di chi, passo dopo passo, non si limita a percorrere la città, ma la assorbe e la riflette, diventando egli stesso una luce in movimento nella notte.


~mia.

sabato 7 gennaio 2023

E lì …

… di occhi
pastello
d’ opere 
in fini,
un cielo matto
di barchette di carta, sospese.


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Sguardi Pastello e Cieli di Carta

Ci sono poesie che non raccontano una storia, ma socchiudono una porta. Sono spiragli, brevi e intensi, su un mondo interiore, su un ricordo o su un sogno. La mia poesia, intitolata con un sussurro, "e lì ...", è uno di questi spiragli. Il titolo stesso, con quella sua sospensione, ci invita a sbirciare in un "lì" che non si trova su nessuna mappa, un luogo dell'anima dove la logica lascia il posto alla meraviglia.

Vi invito a entrare con me in questo frammento di fantasia.

e lì ...

La poesia inizia con un'ellissi e con uno sguardo: "… di occhi / pastello". Non sappiamo di chi siano questi occhi, e questo li rende universali. Potrebbero essere gli occhi di un bambino, pieni di innocenza, o quelli di un'anima sognatrice. L'aggettivo "pastello" è una scelta chiave: evoca delicatezza, morbidezza, colori tenui. È uno sguardo che non giudica, non analizza con durezza, ma accoglie il mondo con una sensibilità gentile. È lo sguardo necessario per poter vedere ciò che sta per essere svelato.

Questi occhi guardano "d’ opere / in fini". Questa espressione è meravigliosamente ambigua. Potremmo leggerla come "opere con dei fini", con degli scopi precisi. Ma la sua assonanza con la parola "infiniti" ci suggerisce una lettura più poetica: opere in-finite, opere senza fine. Lo sguardo pastello si posa su un mondo di creatività illimitata, di possibilità che si susseguono senza mai esaurirsi. La visione che seguirà è solo una di queste infinite opere dell'immaginazione.

Questi primi versi, quindi, preparano il terreno. Ci dicono che stiamo per entrare in un regno accessibile solo tramite uno sguardo gentile e una mente aperta all'infinita creatività.

Ed ecco che la visione si manifesta in tutta la sua surreale bellezza: "un cielo matto / di barchette di carta, sospese.".

Analizziamo questa immagine straordinaria:

  • "Un cielo matto": Definire il cielo "matto" è un atto di pura fantasia. È un cielo che si ribella alle leggi della fisica e della normalità. Ma non è una follia spaventosa; è la "mattana" gioiosa e imprevedibile di un bambino, la libertà creativa di un artista surrealista. È un cielo che fa ciò che vuole, e ciò che vuole è essere bellissimo e impossibile.
  • "di barchette di carta": Questo dettaglio riempie il cielo di un'infinita tenerezza. Le barchette di carta sono un simbolo universale dell'infanzia, della semplicità, di un gioco nato da un foglio bianco. Sono oggetti fragili, destinati all'acqua, non all'aria. Vederle popolarlo al posto delle nuvole o delle stelle è un'immagine che capovolge il mondo e scalda il cuore.
  • "sospese.": Questa parola finale, isolata dalla virgola, è forse la più importante. Le barchette non volano, non cadono, non navigano. Sono "sospese". L'intera scena è bloccata in un istante di perfezione immobile. È un momento di silenzio assoluto, un respiro trattenuto per non rovinare l'incanto. Questa sospensione dona all'immagine un senso di pace profonda, di un sogno lucido da cui non ci si vuole svegliare.

"E lì..." è la descrizione di un luogo interiore. Quel "lì" a cui allude il titolo non è altro che uno spazio nell'anima dove tutto è possibile. È un luogo costruito con la delicatezza di uno sguardo color pastello, alimentato da una creatività senza fine e abitato da visioni di una bellezza fragile e impossibile, come barchette di carta che galleggiano silenziose in un cielo che ride delle regole.

È un invito a trovare e custodire il nostro personale "lì". Un promemoria che ci ricorda che, a volte, la visione più vera e confortante non è quella che vediamo ad occhi aperti nel mondo reale, ma quella che troviamo ad occhi chiusi, in quello spazio segreto e "matto" della nostra immaginazione.




~mia.

giovedì 8 dicembre 2022

Nero Luce

Mamma, in fine cos’è tutto questo ?
Forse la nostra lotta
per qualcosa di più profondo;
il bene in cui crediamo ?
Eppure non riconosciamo quei posti 
ormai troppo lontani
oppure facilitati
in un tempo e uno spazio
più veloce di quanto possiamo,
sospesi in quei secondi di vita
per ridurci poi in un attimo assente.
Ora, presenti verso un futuro inconsapevole
in cui dominano nostri
nuovi sentimenti,
io credo 
perseverante
in noi.



Smarrimento e Fede 

Esistono domande che ci portiamo dentro per una vita intera. Domande sul senso delle cose, sulla direzione del nostro cammino, sulla natura della nostra lotta. La mia poesia "Nero Luce" nasce da una di queste domande fondamentali, ma cerca di trasformare l'oscurità del dubbio in un'affermazione di speranza.

Il titolo è un ossimoro, una contraddizione in termini: il Nero del disorientamento, del futuro ignoto, dell'attimo in cui ci sentiamo assenti; e la Luce della fede, della perseveranza, della convinzione che, nonostante tutto, valga la pena credere "in noi".

La poesia si apre con la domanda più semplice e al contempo più complessa, rivolta alla figura primordiale: la madre. Rivolgersi alla "Mamma" è un ritorno alle origini, un cercare risposte non nelle filosofie complesse, ma nella fonte stessa della vita. È un gesto di vulnerabilità e di fiducia.

La prima risposta che il poeta si dà è una definizione nobile dell'esistenza: la vita è "la nostra lotta / per qualcosa di più profondo". Non un'esistenza casuale, ma una battaglia mirata, una tensione verso "il bene in cui crediamo". Questa prima strofa definisce l'essere umano come un idealista, un combattente per un valore.

Subito dopo questa affermazione di principio, però, si insinua il dubbio, lo smarrimento. "Eppure non riconosciamo quei posti". Quei punti di riferimento, forse i valori stessi per cui lottiamo, sembrano svanire. E per quale motivo? La poesia offre due spiegazioni incredibilmente attuali:

  1. Sono "ormai troppo lontani": C'è un senso di distanza, di disconnessione da un passato o da ideali che non sentiamo più nostri.
  2. Oppure sono "facilitati / in un tempo e uno spazio / più veloce di quanto possiamo": Questa è una critica lucida alla modernità. La velocità del mondo contemporaneo, la "facilità" con cui si ottiene tutto, finisce per svuotare di significato le esperienze. Viviamo in un flusso così rapido che non abbiamo il tempo di creare legami profondi con i luoghi, le persone, i valori.

Questa accelerazione ci porta a una condizione esistenziale precaria: siamo "sospesi in quei secondi di vita", incapaci di afferrare il presente, finendo per essere ridotti a un "attimo assente". È la fotografia perfetta dell'uomo moderno: perennemente connesso ma fondamentalmente assente, sempre in movimento ma esistenzialmente immobile.

Proprio quando il "Nero" sembra prendere il sopravvento, la poesia ha una svolta. Un "Ora" potente segna un cambio di rotta: "Ora, presenti verso un futuro inconsapevole". Nonostante lo smarrimento e l'assenza, c'è una decisione cosciente di essere "presenti". È l'accettazione del paradosso: si può essere pienamente nel presente anche se ci si muove verso un futuro di cui non si sa nulla ("inconsapevole"). Si accetta l'incertezza, ma non si rinuncia a vivere.

In questo futuro, inoltre, "dominano nostri / nuovi sentimenti". È il riconoscimento che siamo esseri in divenire. La lotta e lo smarrimento ci trasformano, creano in noi nuove emozioni, nuove consapevolezze. Non siamo più quelli che eravamo all'inizio della lotta.

Ed eccoci al finale, il punto in cui la "Luce" del titolo vince sul "Nero". Dopo il dubbio, la lotta e la trasformazione, emerge una certezza. Non una certezza sul futuro, ma una fede incrollabile: "io credo / perseverante / in noi."

  • "Io credo": È una dichiarazione personale, forte, che nasce dall'esperienza, non da un dogma.
  • "perseverante": Questa fede non è ingenua. È una fede che ha attraversato il dubbio ed è sopravvissuta. È tenace, ostinata, consapevole delle difficoltà.
  • "in noi": Questo "noi" è la destinazione di tutta la poesia. Potrebbe essere il "noi" intimo tra figlio e madre, il legame che resiste a tutto. Ma, in senso più ampio, è un "noi" universale. È la fede nella connessione umana, nella nostra capacità collettiva di lottare per il bene, nella resilienza della nostra specie.

"Nero Luce" è quindi il racconto di un'anima che si interroga, si perde e infine si ritrova non in una verità assoluta, ma nella fede perseverante nel legame umano come unica, vera luce nell'oscurità dell'esistenza.



~Mia.


Random 3

Siamo Davvero Liberi di Scegliere o è Già Tutto Scritto nel Nostro Cervello? Ciao a tutti, appassionati della mente e curiosi dell'unive...