Echi di Radici, Respiro di Pineta
Ci sono parole che, pur nella loro semplicità, racchiudono mondi interi. "Famiglia mia" è una di queste, un titolo che da solo evoca legami, ricordi, appartenenza. Ma come può una pineta, con i suoi aghi e i suoi scricchiolii, parlare di famiglia? La mia poesia, intitolata appunto "Famiglia mia", nasce proprio da questa apparente dicotomia, un tentativo di esplorare le radici profonde che ci legano, attraverso immagini concrete eppure cariche di suggestione.
I primi versi, "Una pineta, distesa di aghi, / passi scalzi consapevoli di attimi costanti", ci trasportano immediatamente in un luogo fisico, quasi primordiale. La pineta non è un semplice bosco; è un ecosistema denso, con la sua fragranza resinosa e il suo tappeto di aghi che ammortizza ogni passo. Ma non sono passi qualsiasi: sono "scalzi", un dettaglio che rimanda a un contatto diretto con la terra, a una vulnerabilità e al contempo a un senso di libertà e fiducia. E sono "consapevoli di attimi costanti": non c'è fretta, ma una presenza nel qui e ora, un'attenzione ai piccoli dettagli che compongono la quotidianità. Questo mi fa pensare alla famiglia: non è fatta solo di grandi eventi, ma di un'infinita serie di "attimi costanti", di gesti quotidiani, di presenze silenziose ma rassicuranti che ci forgiano e ci accompagnano.
Il verso "scricchiolii incerti ed ahimè ostinati dal profumo silvestre" aggiunge un elemento di realismo e autenticità. La natura, come la vita familiare, non è sempre perfetta e silenziosa. Ci sono "scricchiolii", piccole frizioni, incertezze, rumori che possono disturbare la quiete. Ma questi scricchiolii sono anche "ostinati", persistenti, parte integrante dell'esperienza. Il "profumo silvestre", con la sua forza primordiale e avvolgente, sembra dominare e unificare il tutto, suggerendo che, nonostante le piccole imperfezioni o le sfide, l'essenza, il "profumo" della famiglia, rimane potente e pervasivo. È un'immagine che parla di resilienza, della capacità di un sistema di persistere e di mantenere la sua identità nonostante le piccole turbolenze.
E poi arrivano i versi che, a mio avviso, racchiudono il cuore della poesia: "del capolavoro non di mio frutto / né della mia immaginazione sfrenata." Qui la poesia si eleva oltre la semplice descrizione di un luogo per toccare un concetto universale. La "famiglia" non è un'invenzione personale, non è qualcosa che si crea solo con la propria volontà o con la propria fantasia. È un "capolavoro" che esiste al di là del nostro controllo, un'entità che ci precede e ci trascende. Non è "di mio frutto" nel senso di essere una creazione puramente individuale, ma piuttosto un dono, un tessuto di relazioni, memorie e appartenenze che si eredita e si evolve. È un qualcosa che esiste indipendentemente dalla nostra diretta "immaginazione sfrenata", un sistema di legami che ha una sua propria logica e storia, un'opera d'arte complessa e vivente di cui siamo parte, ma non gli unici artefici.
"Famiglia mia" è, in fondo, un'ode a quell'insieme di connessioni che ci definiscono, spesso invisibili eppure tangibili come gli aghi sotto i piedi scalzi. È un riconoscimento della sua natura intrinseca, della sua bellezza imperfetta ma autentica, e del suo potere di nutrire l'anima in un modo che nessuna fantasia solitaria potrebbe eguagliare. È un invito a riscoprire il valore delle radici, degli "attimi costanti" che compongono il nostro quotidiano e del profumo inconfondibile di ciò che chiamiamo casa, anche quando quella casa non è un luogo fisico, ma un insieme di anime legate da un filo indissolubile.
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