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mercoledì 13 luglio 2022

Liberi di Volare … Uno …

Diede una leggera spinta con il piede al sasso immobile ed il suo ingegno ottenne esattamente il risultato tanto atteso. Balzò giù dalla scrivania precipitandosi dalla parte opposta della stanza, allungando velocemente l’altro braccio per bloccare il pennello ormai andato appena oltre i bordi della tela bianca, evitando così di imbrattare tale armonia. Equilibrio che non avrebbe potuto realizzare di proprio pugno, ma sarebbe dovuto essere frutto di un meccanismo ben più complesso. 

Rimuginò a lungo riguardo quel tramonto assurdo, convincendosi sempre più che si trattasse di un insolito scenario. Sovrano si prodigava il sole sicuramente acceso di arancione mentre fasci di luce s’ adagiavano sulle fragili nuvole, sfumandole del loro colore prima proiettandole poi nel cielo rigorosamente azzurro. Il bianco ed il nero danzavano sul contrasto di luci ed ombre. La terra battuta scricchiolava sotto il peso della bici e di chi con costante passione ne produceva l’ impeto. Le verdi siepi abbracciavano lo sfondo verso una mite tregua. Nuvole fragili all’ apparenza, ferme nella gravità terrestre, come l’ impresa di un funambolo in bilico sulla mente concentrata. Niente sembrava poter scalfire l’ ambizione di poter raffigurare quel sentimento ardito. Certamente per Riccardo non sarebbe stato difficile avere accesso ad un episodio contemplato numerose volte, dopo anni di studi accademici. 

Giurava di aver visto una volpe zampettare in lontananza alcune ed altre volte di aver potuto ammirare la visione dei vicini contadini delle terre confinanti, chini nel loro umile lavoro soprattutto durante i mesi di semina e raccolta. 

Bisognerebbe anzitutto ammettere che in una situazione di illusoria normalità, il pittore con scandita pazienza potrebbe osare la riproduzione della naturale realtà con fedeltà meticolosa. Un poeta incalzerebbe la ritmica quiete della pragmatica relatività nell’ assolutismo di un frammento temporale. Un compositore probabilmente coglierebbe la persistenza di emozioni fortemente contrastanti in una melodia drammaticamente vivace. Oppure ogni dettaglio assumerebbe la forma di libertà, ruotando a turno per l’ io eterno di ciascun soggetto. Eppure esattamente cosa farebbe un artista ?

Non erano solo le volpi ad aggirarsi nei dintorni. Come in ogni comune zona campagnola, il paesaggio godeva del cinguettio di uccelli d’ ogni specie, l’ irriverenza di rumori provenienti dai cespugli di roditori fuggitivi; i resti appesi della pelle di serpente in tempo di muta sulle pietre appuntite dei muri a secco. Il brulicare incessante di vita della bella stagione. Lo stridio dei grilli e quello incessante delle cicale. Formiche, api, farfalle, vespe, libellule, gechi, blatte e millepiedi. Il pascolare delle pecore, le mucche ed i cavalli nei recinti. Poi gli animali delle stagioni più fredde. 

L’ ambita apertura del permesso alla caccia. Una vera e propria cultura che univa con determinante devozione vecchia e nuova generazione. Padri e figli, nonni e nipoti, zii ed amici. Fierezza e soddisfazioni, delusioni e dure lezioni da apprendere; fauna che non aveva alcuna intenzione di venire meno ai doveri del ciclo vitale. Mimetiche e fucili. Dinastie da proiettare verso il futuro. Un’ arte antica quanto la storia dell’ uomo. Scaltra ed affinata all’ istinto di sopravvivenza. Innalzata al leggio intellettuale. Non mancarono dunque all’ appello opportunità di questo genere. Giuseppe, amico di vecchia data dell’ acclamato chef, era solito invitarli nelle uscite notturne. Inutile dettagliare la spartizione della selvaggina. 

“Riusciresti ad esprimere con una sola parola quali sono i sentimenti che emergono quando pensi alla caccia?” chiese Riccardo all’ intimo quando giunse l’ alba di una battuta prosperosa. La curiosità era una forte peculiarità del giovane. “Sfarfallio” rispose l’ altro con tono grave e secco. “Fu mio padre ad insegnarmi gran parte delle cose di cui sono a conoscenza. Iniziai ad uscire con lui, le prime volte, all’ età di dodici anni” proseguì, “Il percorso della vita poi pensa a fare il restante lavoro. Ad indicarti la strada più adatta verso il miglioramento. Ovviamente prestando attenzione nel cogliere gli indizi giusti quando opportuno. Non potevo usare le armi allora, ma ricordo perfettamente l’ impazienza nell’ attendere notti come queste solo per godere della magica atmosfera che si creava” mentre i suoi occhi si tingevano di nostalgia, una smorfia di disapprovazione emerse dal viso del ragazzo, perché le stava a cuore la vita di ogni innocente. “Per quanto crudele può apparire c’è qualcosa di poetico in tutto ciò vero?” concluse con sarcasmo il veterano, assumendo questa volta una nota di piacere. 

Nonostante il circondario però , la famiglia di Riccardo era nota per la catena di ristoranti diffusi tra le diverse città europee. Il primo aperto dal padre Antonio nella terra natia di Lecce, all’ età di ventisette anni, rappresentò a tutti gli effetti il via per una faticosa strada che puntava dritta verso il successo della proficua attività. Dal talento culinario paterno probabilmente discendeva il fascino artistico che da sempre coinvolgeva ogni attimo la vita del figlio. La sera del tramonto eteroclito, l’ erede sostò abbondantemente lungo il viottolo di casa. A poche decine di metri dalle luci perimetrali di una dimora semplice da delineare. Un’ accuratezza impeccabile nell’ aspetto esteriore quando tutt’attorno aleggiava eterea l’ idolatria aurea. “Stupore” pensò. Stupore, stupore, meraviglioso stupore. L’ amore circense colmo di acrobazie nel suo nobile cuore. Perché furono stravaganti le emozioni che lo impregnarono. E variegato l’ arcobaleno di pensieri che imbrattarono la fantasia. 

Giunta la sera come da rituale, dopo aver cenato e messo in ordine la cucina, si sdraiò sul lettone per scaricarsi di tutto quello che durante la giornata fosse stato degno di memoria, appuntandone i contenuti con scrupolosità. Riteneva necessario tenere traccia di ogni piccolo dettaglio. Perché anche se primordiale è l’ amore che spesso trasfigura la realtà, muta costantemente la sua consapevolezza. Riteneva perlopiù necessario non alimentare il bisogno di giudicare gli elementi giusti o sbagliati a posteriori. Niente che valesse la pena dare per scontato. 

Un paio di cuffie e tanta musica. Incanalandosi verso il centro dei suoi pensieri, varcando l’ arco oltre gli strati superficiali del materialismo dalla dissolvenza più lieve, cercando di aprire così l’ infinito spazio della conoscenza. Con chiarezza ancora una volta andrebbe specificato che a costituire la base del tessuto sociale è la mente pensante. Resterebbe ad una lama affilatissima con tutta la sua pericolosità la responsabilità di tagliare in due parti ben distinte la verità ed il potere.

Impiegò i giorni a seguire per studiare il marchingegno nei minimi dettagli. Dopo aver fissato due ganci al soffitto, distanti tra loro tre passi d’ uomo, incastonò centrale una barra in acciaio di quattro metri. Posando una pietra, del peso tale da riuscire a sostenere il gioco, al bordo della scrivania affollata delle sue facoltà, la legò con la prima estremità di una corda dallo spessore di due centimetri. Ben tesa la passò da un lato del tubolare, facendo appena mezzo giro, per poi proseguire perpendicolarmente quasi a toccare il pavimento. Il secondo nodo teneva ben salda la cima di un manico di legno. Rigida stavolta la diagonale del faggio che ricongiunse la terra ed il cielo. 


~Mia.




sabato 2 luglio 2022

Leggero

Sull’ uscio d’ una camera 
oberata di ricordi
al tramontar d’ una giornata 
discola da quitare
dove
infida si sorseggia la gravità.



Peso dei Ricordi e la Fragilità della Quiete

"Leggero". È una parola che tutti desideriamo associare al nostro stato d'animo, specialmente alla fine di una giornata difficile. Eppure, raggiungere la leggerezza è spesso un'impresa tutt'altro che lieve. A volte, è un equilibrio precario, un'arte sottile che si pratica in silenzio, sull'uscio della nostra anima.

La mia poesia, intitolata ironicamente "leggero", cerca di catturare proprio questo momento di tensione: l'istante in cui si tenta di gestire il peso dell'esistenza con la delicatezza di un gesto, sapendo che la quiete conquistata è fragile e, forse, ingannevole.

"Sull'Uscio": Lo Spazio Liminale dell'Anima

La poesia ci colloca immediatamente in uno spazio liminale, uno spazio di mezzo: "Sull'uscio d’ una camera". La soglia è un luogo potente. Non si è né dentro né fuori. È il punto dell'esitazione, della riflessione, della scelta.

  • Dentro, c'è una "camera oberata di ricordi". La parola "oberata" è fondamentale: significa sovraccarica, appesantita. La stanza non è un rifugio, ma un archivio del passato, un luogo che porta un peso. Entrare significherebbe immergersi completamente in quel peso.
  • Fuori, c'è il "tramontar d’ una giornata discola da quitare". Il giorno che finisce non è stato sereno, ma "discolo": ribelle, difficile, indisciplinato. Il tramonto è il momento in cui si cerca di "quitare" questa giornata, di saldare i conti con la sua fatica, di placarla.

Il poeta si trova quindi in un doppio limbo: tra il giorno e la notte, e tra il mondo esterno e il proprio mondo interiore carico di memoria. È un momento di transizione perfetto per la riflessione che sta per compiersi.

Il Gesto Centrale: "Infida si sorseggia la gravità"

L'ultimo verso è il cuore pulsante della poesia, un'immagine di straordinaria forza e complessità. In questo luogo e in questo momento, "infida si sorseggia la gravità."

Analizziamo questo gesto apparentemente impossibile:

  • "La gravità": È il peso. Il peso della giornata "discola", il peso della camera "oberata di ricordi". È la serietà della vita, la somma delle nostre fatiche e delle nostre nostalgie. È una forza che dovrebbe schiacciarci.
  • "si sorseggia": A questa forza opprimente, il poeta non reagisce con violenza né con rassegnazione. Reagisce con un gesto delicato, quasi da degustatore. "Sorseggiare" la gravità è un tentativo di assumerla in piccole dosi, di gestirla, di non farsene travolgere. È l'atto di chi cerca di mantenere il controllo, di affrontare il proprio carico emotivo con una studiata lentezza.
  • "infida": Questo avverbio è la chiave che svela la vera natura della situazione. Perché questo sorseggiare è "infido", "traditore", "ingannevole"?
    1. È un auto-inganno: L'atto di sorseggiare la gravità è un tentativo di sentirsi "leggeri", ma è una leggerezza fittizia. È una performance. Si finge di poter gestire con eleganza un peso che in realtà è immenso. È un tradimento verso sé stessi, perché si maschera lo sforzo con un gesto apparentemente lieve.
    2. La gravità stessa è infida: Il dolore e il peso dei ricordi sono traditori. Ti illudono che tu possa gestirli a piccoli sorsi, ma sono sempre pronti a travolgerti, a trascinarti a fondo se solo perdi la concentrazione.

La Tensione del Titolo: La Fatica di Essere "Leggero"

E così, torniamo al titolo. "Leggero" non è la descrizione dello stato d'animo del poeta, ma la sua aspirazione, o forse la sua maschera. La poesia non parla di leggerezza, ma dello sforzo immane e precario che si fa per essere leggeri.

La vera protagonista è la "gravità". Il titolo "leggero" è l'etichetta ironica che diamo a quel nostro fragile equilibrio, a quella quiete conquistata a fatica che sappiamo essere costantemente minacciata. È la leggerezza di un funambolo che cammina su un filo sospeso sul baratro dei propri ricordi e delle proprie fatiche.

Un Equilibrio Precario

"Leggero" è il ritratto di un momento universale. È il silenzio che cala alla fine di una brutta giornata, quando ci troviamo a fare i conti con noi stessi. È la descrizione di un meccanismo di difesa psicologico: affrontare il peso della vita non negandolo, ma parcellizzandolo, sorseggiandolo con una cautela che sappiamo essere, in fondo, infida.

È una poesia che ci insegna che la pace, a volte, non è uno stato permanente, ma un delicato e continuo atto di equilibrio.

Vi siete mai trovati "sull'uscio", a fine giornata, a "sorseggiare" una gravità personale? E in cosa trovate la forza per non essere sopraffatti dal peso dei ricordi?


~Mia.

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