Giardini di Primavera e Mari d'Inverno
Essere un nomade non significa solo vagare senza meta. Significa, soprattutto, portare il proprio mondo dentro di sé: una casa fatta di ricordi, una bisaccia piena di sogni e domande, una mappa interiore che solo noi possiamo leggere. Un nomade non è senza radici; le sue radici sono portatili e affondano nella propria storia.
La mia poesia, intitolata appunto "Nomade", è il racconto di questo viaggio esistenziale. È un percorso che si snoda tra la meraviglia di un attimo perfetto e il vagare in un oblio sconosciuto, tra la creazione di un'eredità e la consolazione di un incontro, per poi approdare al segreto più custodito dell'anima.
Prima Tappa: L'Attimo Eccelso nel Giardino
Il viaggio del nomade inizia da un momento di quiete e di estasi: "Nel profondo lo stupore d’ un giorno di primavera". Il luogo è idilliaco, quasi mitico: "il giardino della pace e dell’ amore". È un'immagine di armonia perfetta, un Eden interiore. In questo stato di grazia, la reazione è un attaccamento gioioso alla vita: "giulivo m’ aggrappo alla vita".
Ma questa gioia non è ingenua. Nasce da una consapevolezza quasi dolorosa: "realizzando il tempo già passato". È la comprensione della caducità delle cose che rende il presente così prezioso. Ci si aggrappa alla bellezza proprio perché si sa che non durerà. È una gioia matura, intrisa di una dolce malinconia.
Seconda Tappa: Il Seminatore di Briciole
Da questa consapevolezza nasce un bisogno creativo. Il nomade, portando con sé la "catena colma della mia storia", inizia un processo quasi industriale: "Trafilo desideri, sogni". Il verbo "trafilare" suggerisce uno sforzo, un lavoro per estrarre, per dare forma a qualcosa di nuovo partendo dalla materia grezza del proprio passato.
E qual è il risultato di questo lavoro? Non grandi monumenti, ma "eclettiche briciole". È un'eredità umile e preziosa. Il nomade semina frammenti dei suoi momenti migliori ("un attimo eccelso"), che sono allo stesso tempo "essenziali" (il nucleo del suo essere) e "trascendentali" (capaci di puntare oltre il sé). È il lascito di chi sa che della vita restano solo piccoli, luminosi frammenti di significato.
Terza Tappa: Il Viandante dalle Tasche Piene di Domande
Il giardino svanisce e inizia il vero e proprio vagabondaggio. "Incamminandomi per un sentiero / non propriamente detto mio". È il sentiero dell'esistenza, spesso non scelto, che ci troviamo a percorrere. Qui, il nomade "persiste", ma la sua ricchezza cambia natura. Le sue tasche sono "povere d’ altro valore", vuote di beni materiali, ma stracolme di "domande". È il ritratto del filosofo, del cercatore, la cui unica vera proprietà è il suo incessante interrogarsi.
Il mondo che attraversa è desolante: "vicoli di baratterie", dove tutto è uno scambio, e un "ignoto oblio del perduto", un luogo di cose dimenticate, di significati smarriti. È l'immagine di un'anima che vaga in un mondo che sembra aver perso la sua profondità.
Tappa Finale: L'Incontro e il Segreto del Mare
Proprio nel momento del massimo smarrimento, avviene un "incontro". Un "tu" prende il nomade per mano, un gesto di conforto e guida che rompe la solitudine. E gli offre una lezione fondamentale: "ascoltare un mondo che prosegue / anche se il nostro respiro lontano non si sente". È un invito all'umiltà, a riconoscere che il mondo non si ferma per il nostro dolore o la nostra gioia. È una lezione di prospettiva, necessaria per non rimanere schiacciati dal proprio ego.
Il nomade ascolta. Ma la poesia si chiude con un segreto, con una clausola del cuore che è tanto importante quanto la lezione ricevuta: "segretamente non ho scordato il suono d’ inverno del mare." Questa è la rivelazione finale. Nonostante la lezione di lasciar andare, nonostante il ricordo del giardino primaverile, il nomade custodisce segretamente un suono più antico, più potente, più malinconico: il suono del mare in inverno. Se il giardino era la gioia, il mare d'inverno è la sua anima profonda, forse la sua sofferenza, la sua forza primordiale, la sua vera casa interiore.
Portare il Mare Dentro di Sé
Essere un "Nomade", ci dice questa poesia, significa vivere abbracciando le contraddizioni. Significa custodire la memoria di giardini felici mentre si attraversano vicoli desolati. Significa creare briciole di bellezza dalla catena della propria storia. Significa imparare la lezione del mondo che va avanti, senza però mai tradire quel segreto interiore, quel "suono d'inverno del mare", che è la fonte più autentica della nostra identità.
Il vero nomade non è colui che non ha una casa, ma colui che ha imparato a portarsi il mare dentro, ovunque vada.
Qual è il "suono d'inverno del mare" che, segretamente, non avete mai scordato e che portate con voi nel vostro viaggio di nomadi?